L’ ansia da gara: alleata o nemica? I PARTE Ansia da prestazione: Conoscerla per comprenderla

Perché si parla di ansia da prestazione nel mondo dello sport?

Sicuramente molti atleti (e non solo) si saranno confrontati con questo tipo di vissuto nel corso della loro esperienza. Quando si parla di sport, si fa riferimento a una forma di attività fisica che ha diversi obiettivi, tra cui il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli.

La gara rappresenta per un atleta un “esame” che mette in discussione i suoi investimenti fisici e psicologici; alla luce di ciò, egli può avere una risposta d’ansia normale o patologica alla gara. E qui forse qualcuno potrebbe rimanere sorpreso e domandarsi: “Esiste una risposta di ansia normale?” La risposta è affermativa e vediamo perché. Come accennavo prima, l’ansia è un’emozione di cui tutti abbiamo fatto esperienza almeno una volta nella vita. Comunemente pensiamo all’ansia come un ad un fenomeno negativo: questo non è sempre vero, dal momento che l’ansia rappresenta uno “stato di attivazione  fisiologico e comportamentale” (arousal) utile ai fini della sopravvivenza della specie. E’ la nostra mente che fa tutto questo al fine di proteggerci da un’eventuale situazione di pericolo, di stress, qual è appunto la gara.

Quando l’atleta deve compiere una prestazione, il suo organismo deve  infatti attivare una serie di processi fisici e psicologici che gli permettono il raggiungimento del risultato ottimale. Per raggiungere ma soprattutto per mantenere l’ attivazione ottimale, l’atleta ha bisogno di un giusto livello di ansia, una risposta d’ ansia che definiremo “normale”.

Quando invece il livello di ansia aumenta, al punto di essere esagerato rispetto alla prestazione che dobbiamo svolgere, non riusciremo più ad ottenere dei buoni risultati. Questa risposta è di tipo “patologico”, non funzionale alla competizione che viene disputata.

Questa condizione di ansia esagerata, può verificarsi in una singola gara e rimanere dunque un episodio isolato, oppure può succedere che venga esperita con regolarità; in quest’ultima situazione, l’atleta si trova a vivere in modo preoccupato e allarmato tutte le competizioni che dovrà disputare.

Come si manifesta l’ansia da prestazione “patologica”? Quali sono i segnali che il nostro corpo manda quando vive questo impasse? Ma soprattutto come si gestisce?

Ne parleremo nel prossimo articolo.  Buona lettura!

Famiglie … in campo! Riflessioni con un gruppo di genitori della scuola calcio sul ruolo che essi hanno nella crescita sportiva dei propri figli

Quando parliamo di bambini e sport, non possiamo fare a meno di pensare ai genitori e al loro prezioso contributo nella crescita sportiva dei figli. Di fatto, quali sono i comportamenti e gli atteggiamenti più funzionali per lo sviluppo dei giovani sportivi?

Vista la mia collaborazione nel settore giovanile di alcune società calcistiche, ho pensato di chiederlo direttamente ai genitori preparando per loro un’attività ad hoc. In forma anonima, mediante l’uso di bigliettini di colore diverso, ho chiesto ai partecipanti di indicare due tipologie di comportamenti: da una parte quelli che ritengono utili al fine di promuovere e sostenere il benessere sportivo dei propri figli mentre dall’ altra quelli che ne rappresentano un ostacolo. Quasi tutti i genitori presenti hanno riportato tra le condotte più funzionali la seguente: “Mantenere un dialogo aperto con il mister”. Genitori e allenatori sono mossi da uno stesso fine che è quello di favorire la crescita sportiva dei giovani allievi in un ambiente sereno e divertente. Troppo spesso però accade che questo obiettivo non venga condiviso, creando così confusione di ruoli e difficoltà comunicative tra gli adulti. Parlando con i genitori viene fuori che il mister non fa bene il suo lavoro perché la squadra non vince tutte le partite; confrontandomi con allenatori e dirigenti emerge la difficoltà nel gestire alcuni genitori che vogliono sostituirsi all’ allenatore. E in una tale situazione spesso vengo chiamata io, in qualità di psicologa, proprio per cercare di favorire una migliore comunicazione tra le parti. Quando si parla di settore giovanile l’obiettivo della società sportiva non è quello di fabbricare un campione ma quello di far si che i giovani atleti possano divertirsi in un ambiente sano. Il mister si fa dunque portavoce di questo intento, avendo come priorità quella di proporre attività in forma ludica finalizzate a promuovere il divertimento e la partecipazione attiva di tutti i bambini. L’allenatore diventa nel mondo sportivo il riferimento dei più piccoli ma se i genitori non ne riconoscono il ruolo, perché non hanno chiaro l’obiettivo guida del suo operato, perché dovrebbero farlo i loro figli? E’ importante sin da subito condividere con i genitori gli obiettivi educativi che la società individua per i più piccoli e garantire loro uno spazio per il dialogo e il confronto.

Per quel che riguarda invece i comportamenti che influenzano negativamente la crescita sportiva dei figli, la maggioranza dei presenti ha segnalato “pretendere tanto quando sono in campo”. Che cosa si nasconde dietro un tale atteggiamento? Molto spesso troviamo la proiezione da parte del genitore dei propri vissuti sportivi, di aspettative personali che in passato non sono state soddisfatte e che oggi chiedono un riscatto. Le conseguenze sui più piccoli si osservano sia a livello della pratica sportiva, partecipando per far piacere al genitore, ma anche a livello psicologico, sull’autostima e sul senso di autoefficacia.

Non tutti i bambini che fanno sport diventeranno dei  campioni ma tutti possono trarre beneficio dall’ esperienza sportiva sia a livello fisico ma anche a livello psicologico e sociale. Lo sport è una palestra di vita per bambini e adolescenti: questa deve essere la prerogativa di tutti, genitori e rappresentanti del mondo sportivo.

 

Lo psicologo nelle società sportive: una risorsa per tutti.

 

 

Il mestiere di psicologo resta ad oggi una professione segnata da stereotipi e tabù.  Se poi andiamo a parlare del ruolo dello psicologo nel mondo sportivo, allora sì che troviamo resistenze e perplessità, dato che, nella mente delle maggior parte delle persone, lo sport è associato al benessere.

Allora, che cosa fa uno strizza cervelli, colui che risolve le difficoltà e i problemi psicologici della gente, in ambito sportivo? In questo contesto, il contributo dello psicologo non è teso a “curare”… anzi! Il suo ruolo è principalmente quello di prevenire tutte quelle situazioni che potrebbero inficiare il benessere degli atleti e dunque, più in generale, quello di promuovere lo sviluppo psicologico e relazionale degli sportivi. Leggendo questa descrizione molti di voi scuoteranno la testa in segno di accordo. Già i latini sostenevano l’importanza del binomio mente-corpo, “Mens sana in corpore sano”. Oggi abbiamo delle evidenze scientifiche che ci confermano il ruolo fondamentale della componente psicologica sulla performance fisica; sono soprattutto l’ansia e lo stress, le emozioni vissute dagli atleti che, se non adeguatamente gestite, potrebbero diventare dei potenti ostacoli alla prestazione. Nonostante queste considerazioni positive, il lavoro dello psicologo dello sport rimane poco sviluppato. I dati nazionali ci confermano che in Italia tutti gli atleti e le squadre, ad ogni livello, hanno un preparatore atletico di riferimento, ma pochi hanno un preparatore mentale. Non solo. Molto spesso sono gli stessi sportivi, per lo più di alto livello, che individualmente ricorrono ad uno specialista -non sempre formato nell’ambito- per la gestione di tutta una serie di emozioni nate e vissute in campo.

Quando si parla di società sportive non è solo l’atleta il protagonista principale dell’intervento psicologico: il mondo dello sport è un sistema complesso. Solitamente si inizia a praticare un’attività negli anni dell’infanzia, fase in cui la famiglia è di grande importanza; per questo motivo, con soggetti in età evolutiva il lavoro dello psicologo dovrebbe considerare e coinvolgere le famiglie degli atleti e lavorare sulle relazioni che intercorrono tra queste e l’allenatore. Per usare un termine propriamente sportivo, la mission di uno psicologo dello sport sarà quella di fare squadra, lavorando a fianco dell’atleta ma anche a fianco della squadra, delle famiglie, degli allenatori e dei preparatori atletici; ognuno con il suo ruolo ma con un unico obiettivo: promuovere la crescita sportiva dei più piccoli in un contesto sano.

E’ primavera, svegliatevi famiglie! I benefici dello sport all’aria aperta per genitori e figli

La primavera porta con sé il desiderio di trascorrere lunghe giornate all’aria aperta, approfittando delle temperature ancora non troppo calde e dunque ideali per fare movimento.

Al parco, in giardino, al mare e in montagna: ogni luogo offre la possibilità di praticare sport semplici e adatti a tutti; infatti, si tratta di attività per le quali non occorre una particolare preparazione fisica e proprio questo ideali per il nucleo familiare al completo.

Numerosi sono gli sport che si possono praticare insieme ai figli all’aria aperta: camminare, fare trekking, andare in bicicletta, pattinare, nuotare, ecc … Indipendentemente dall’attività che si decide di fare, quali sono i benefici per la famiglia?

Scegliere di praticare uno sport all’aria aperta con i propri cari rappresenta un’ottima occasione per trascorrere il tempo insieme in maniera sana e divertente. I ritmi frenetici di vita a cui spesso sono sottoposte le nostre famiglie impediscono ai suoi componenti di trovare un tempo e uno spazio per uno scambio e un confronto, aspetti –questi- di vitale importanza per il benessere di tutti. Il tempo da passare insieme in famiglia è fondamentale: creare un appuntamento fisso per il fine settimana rafforza i legami, rende più uniti e al tempo stesso serve come valvola di sfogo, soprattutto per i più piccoli di casa.

Inoltre, quando in settimana viene organizzato l’appuntamento sportivo per il weekend, lasciate che i vostri figli vi aiutino nella pianificazione, condividendo con loro idee e proposte.

Una raccomandazione: quando si parla di bambini non dimentichiamoci che la componente ludica è essenziale e insostituibile; attraverso il gioco, il piccolo inizia a comprendere il funzionamento degli oggetti che lo circondano e ad interagire con il mondo. Grazie a questa esperienza “sul campo” potrebbe nascere nei nostri figli l’interesse per una qualche disciplina sportiva.

In secondo luogo, impegnarsi in un’attività sportiva con la famiglia rappresenta un valido antidoto verso cellulari, tablet e social network. Questo aspetto è importante sia quando si parla di bambini, ma anche e soprattutto di adolescenti. In queste occasioni, ricordiamoci che noi genitori siamo dei modelli per i nostri figli: se desideriamo che quest’ultimi non passino tutto il tempo a spippolare sul cellulare, dobbiamo essere noi, in primis, a dare il buon esempio, astenendoci da un uso eccessivo del telefonino. Abbiamo una grande responsabilità in quanto adulti, dobbiamo esserne consapevoli: solo così possiamo promuovere e sostenere una pratica sportiva capace di veicolare esperienze e contenuti educativi. Infatti, la potenzialità formativa dello sport nella crescita di bambini e ragazzi altro non è che il frutto dei valori, delle motivazioni, delle aspettative, degli obiettivi di noi adulti.

Allora, cosa aspettate? Le lunghe giornate primaverili vi aspettano!

 

QUALE SPORT PER MIO FIGLIO? Alcune indicazioni quando i nostri figli non hanno le idee chiare sulla disciplina da praticare.

Non esiste uno sport migliore o peggiore in termini oggettivi. Tutti gli sport fanno guadagnare salute psicofisica ai più piccoli. E allora, quando i nostri figli non hanno minimamente le idee chiare sullo sport da praticare, noi genitori come possiamo aiutarli ? Innanzitutto dobbiamo partire da questo assunto: dobbiamo orientarli. Udite udite: orientare, non imporre! Invece troppo spesso capita che siamo proprio noi genitori, in maniera più o meno diretta, a decidere il futuro sportivo dei figli, come abbiamo visto in precedenza rispetto ai nostri personali desideri di riscatto.

Il ruolo dei genitori è fondamentale: chi meglio di noi conosce gli interessi e le abilità dei nostri ragazzi? Infatti orientarli verso la scelta di uno sport vuol dire partire dalla conoscenza delle loro attitudini, valutandone le predisposizioni, le risorse e i punti deboli. Non solo. E’ importante anche conoscere le principali caratteristiche delle varie discipline.  

Spesso si pensa che uno sport di squadra sia la scelta di elezione per quei bambini più timidi, più introversi, che temono il confronto con gli altri. Sicuramente per questi ragazzi uno sport di gruppo risulta essere di aiuto, perché grazie allo stare insieme riescono a superare il timore del giudizio altrui, conquistando una maggiore fiducia in sé; tuttavia, lo sport di gruppo può giovare anche a chi,  al contrario, “soffre” di un’ eccessiva sicurezza, di un’irruenza che si traduce spesso in un atteggiamento aggressivo e “prepotente”. Il fare parte di una squadra promuove un confronto costruttivo continuo che,  attraverso il dialogo e la condivisione di percezioni, offre ai suoi membri una maturazione emotiva, cognitiva e comportamentale; ma soprattutto, l’effetto del gruppo permette di far conoscere la frustrazione e la delusione di un insuccesso senza trasformarli in una sconfitta personale.

Un discorso analogo vale per gli sport individuali. Spesso la loro scelta viene dettata dal grado di autonomia del bambino e dal suo livello di attività: più un giovane è indipendente e iperattivo più la scelta va verso uno sport individuale.  Certamente queste caratteristiche sono utili nelle discipline suddette, ma siamo sicuri che un bambino meno autonomo e meno scatenato non possa trarne beneficio? Per loro questi sport potrebbero rappresentare un utile palestra per crescere e migliorarsi, e allora perché non farli provare?

Conoscere le caratteristiche proprie di ogni disciplina sportiva è importante,  ma ancora più rilevante è offrire ai più piccoli la possibilità di sperimentarsi.

Sarà proprio l’esperienza diretta a  guidarli verso una scelta consapevole, frutto dell’incontro tra le motivazioni del ragazzo e le prospettive fisiologiche, cognitive e di socializzazione insite in ogni sport.  

 

Anche l’età è un fattore utile da tenere in considerazione. Se è vero che lo sport per i bambini è importante, è altrettanto vero che occorre cominciare all’età giusta, senza anticipare i tempi e senza forzare la volontà del piccolo. Ogni cosa a suo tempo, seguendo le indicazioni dei medici. Prima dei 3 – 5 anni è sconsigliato iniziare qualsiasi attività sportiva, eccetto il nuoto, che può essere praticato fin dai primi mesi di vita. Tra i 5 e i 10 anni, i bambini sono molto versatili, quindi bisogna lasciarli provare secondo il loro desiderio. L’importante è che, una volta che il bambino ha scelto il suo sport, sia pronto ad impegnarsi per impararlo, passo dopo passo. Ma è tra gli 8 e i 13 anni che i bambini hanno le più grandi capacità per imparare. Non solo possono sviluppare l’elasticità e il senso dell’equilibrio, ma anche la resistenza.

 

“MAMMA E BABBO VOGLIO FARE BASKET” Quali sono i fattori che influiscono sulla scelta di uno sport e sulla motivazione

L’attività sportiva  ha un’importanza fondamentale nello sviluppo fisico, psicologico e sociale di bambini e adolescenti. Ma come si arriva alla scelta di un determinato sport? Noi genitori dobbiamo assolutamente arrivare preparati a questo momento, conoscendo i fattori che possono influenzare la scelta.

Prima o poi accadrà che nostro figlio sia interessato  a  praticare uno  sport, presentandosi  con la fatidica affermazione “Mamma e babbo voglio fare basket”. Come ha sviluppato l’interesse per questa specifica disciplina? Può darsi che sia attratto dal basket perché lo ha praticato a scuola oppure perché lo fa l’amico del cuore o ancora perché qualcuno in famiglia lo ha fatto da giovane. Ciascuno di questi fattori avrà una sua influenza peculiare non solo rispetto alla scelta e quindi all’avviamento di un determinato sport, ma anche rispetto al suo mantenimento. Tutto ciò è riassumibile nel concetto di motivazione allo sport. Quando si parla di motivazione, si fa riferimento alla spinta dell’individuo ad agire ed a mettere in atto comportamenti orientati a uno scopo. Affinché si inizi nella propria vita a praticare una qualsiasi attività, infatti, è necessaria una spinta, una causa, appunto una motivazione.

Nel caso in cui la scelta di nostro figlio sia dettata da un’esperienza diretta sul campo, come la sperimentazione a scuola, l’avviamento sarà agevolato e sostenuto da un’ alta motivazione. Quest’ultima, se rimane tale, sarà fondamentale anche nel mantenimento di quella specifica disciplina nel tempo.

Quando invece la decisione è dettata dall’amico del cuore, il bambino o il ragazzo si avvicineranno con facilità allo sport e probabilmente saranno anche entusiasmati all’inizio, ma non è detto che la l’interesse per quella disciplina si mantenga stabile nel tempo; il rischio di abbandono potrebbe essere dietro l’angolo.

Se invece la scelta è indirizzata verso lo sport praticato da uno dei due genitori in età giovanile, occorre comprendere la reale motivazione che sta dietro questa decisione. E’ il figlio che ha scelto perché si è appassionato ad uno sport tanto raccontato a casa oppure è il genitore che ha “indirizzato” questa decisione  probabilmente  per  un   riscatto   personale   per   traguardi   che   non   è   riuscito   a   raggiungere? In quest’ultimo caso gli effetti negativi non saranno solo a livello della pratica sportiva, ma anche a livello psicologico, sull’autostima e sul senso di autoefficacia.

Sicuramente la prima situazione, che vede il figlio scegliere lo sport da praticare sulla base della propria personale esperienza, è la condizione migliore da un punto di vista motivazionale, ma senza un adeguato supporto da parte degli adulti, dei genitori e dell’allenatore, non è detto che possa durare nel tempo. È proprio il sostegno da parte degli adulti significativi che può fare la differenza anche nei casi in cui la motivazione è bassa, o comunque labile.  In che modo allora, come genitori, possiamo aiutare i nostri figli a maturare la passione e l’interesse per quello sport? Per prima cosa dobbiamo essere empatici, che vuol dire aiutarli a stare dentro gli impegni presi, accompagnarli nel loro percorso, stando attenti a ciò che ci chiedono soprattutto con il corpo, con il linguaggio non-verbale, perché con quello verbale a volte non sono in grado di esprimersi. C’è chi ha bisogno di essere sostenuto, incoraggiato e chi ha bisogno di essere lasciato in pace, cioè di vivere un’esperienza, accompagnato sì, ma messo in grado di potersi confrontare da solo col mondo. È un diritto dei minori sperimentarsi, nel bene e nel male, senza il controllo diretto dei genitori anche sapendo che un altro adulto vigila su di loro. Inoltre, fondamentale è la consapevolezza dei nostri schemi emotivi, che si traduce nel saper gestire le nostre emozioni e i nostri atteggiamenti e nell’ essere consapevoli dell’importante ruolo educativo che si sta svolgendo in quel momento.

 

“ MIO FIGLIO VA MALE A SCUOLA NON GLI FACCIO PIÙ FARE SPORT”

Nella mia duplice esperienza di allenatrice e di psicologa tante volte mi sono imbattuta in questa affermazione da parte di uno  o di entrambi i genitori : “Il rendimento scolastico di mio figlio è pessimo, lo tolgo dallo sport!”

Sicuramente la scuola ha il primato tra le attività importanti per i nostri figli ma siamo sicuri che lo sport sia qualcosa di meno utile? Il messaggio indiretto che un’ affermazione di questo tipo veicola è di punire il bambino o il ragazzo di fronte ad un insuccesso scolastico.

Un tale comportamento è dannoso per il minore non solo perché va ad indebolire la sua autostima ma anche perché molto spesso la privazione dallo sport non promuove i risultati positivi attesi.

Non solo.

Solitamente le vittime di questa rinuncia forzata sono proprio quei bambini che a scuola hanno delle difficoltà più o meno riconosciute, come un disturbo dell’apprendimento oppure altre difficoltà. Spesso per loro lo sport rappresenta una sana alternativa alla scuola dove stentano a vedere maturare i frutti del proprio impegno.

Alla luce di ciò, perché privarli di qualcosa che invece li rende felici e più forti a livello psicologico?

Dopo il danno la beffa. Forse lo sport non è il capro espiatorio di tutti i mali, anzi!

Numerose sono le evidenze scientifiche a conferma benefici dello sport sulla salute di bambini e ragazzi che vanno ben aldilà del semplice potenziamento muscolare; l’attività sportiva ha un impatto positivo sull’umore, sulle capacità relazionali, sull’autostima, sul senso di efficacia, sulla gestione dello stress nonché su alcune componenti cognitive, fondamentali anche per la scuola. Rispetto a quest’ultimo punto, è stato rilevato che i giovani che praticano sport hanno maggiori capacità di memorizzazione. Inoltre, stare in una squadra comporta l’apprendimento ed il rispetto di regole, l’assunzione di responsabilità, l’osservanza di orari e appuntamenti, prendere decisioni, porsi degli obiettivi e molte altre componenti trasversali, ossia utili non soltanto nell’attività sportiva ma nella vita di tutti giorni.

In quest’ottica, lo sport rappresenta una palestra di vita nello sviluppo di bambini e ragazzi, fondamentale per una sana crescita non solo a livello fisico ma anche a livello emotivo, cognitivo e sociale.

Sicuramente conciliare sport e studio non è facile, ma considerando i numerosi benefici uno sforzo lo si può fare…lo si deve fare!

Allora? Come si possono raggiungere buoni risultati su entrambi i fronti?

Da ex atleta vi posso dire che si possono ottenere risultati positivi sia a scuola che nello sport grazie ad una buona organizzazione, alla costanza, alla volontà ed a tanta passione.

Da psicologa quello che sottolineo affinché i bambini e i ragazzi riescano ad organizzarsi ed a destreggiarsi tra impegni scolastici e sportivi, fondamentale è il supporto dei genitori. Se lo sport rappresenta un contesto di vita importante per i giovani, allora occorre sostenerli in questo ambito, dandogli fiducia e incoraggiandoli. Facile a dirsi ma non sempre facile a farsi, dal momento che l’ approccio che i più piccoli sviluppano nei confronti dello sport passa da quella che è stata l’esperienza sportiva di noi adulti e da quelli che sono i vissuti ad essa associati. Noi siamo per loro dei modelli. Se per noi lo sport ha rappresentato la palestra di vita di cui parlavamo sopra, sicuramente ci verrà più facile supportare bambini e ragazzi nel loro percorso di atleti; viceversa, se per noi lo sport è stato una perdita di tempo, più difficile sarà trasmettere la passione e impegno verso questo ambito. È importante, quindi, che il genitore, riconosca quelli che sono i suoi vissuti rispetto alla vita sportiva del figlio che possono involontariamente influenzarlo senza che se ne renda conto.

Il ruolo dei genitori nello sport: le prime riflessioni sul campo

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Eleonora Ceccarelli Psicologa - Blue Whale

C’era una volta il Blue Whale

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