Psicolog* dello Sport: chi è e che cosa fa

Chi è lo psicolog* dello sport?

Innanzitutto è psicolog*  dunque laureat* in psicologia e iscritt* all’Ordine degli Psicologi (Albo A) che ha una formazione specifica in ambito sportivo, ottenuta attraverso un master.

Alcuni psicolog* dello sport possono essere  anche psicoterapeut* ma non è obbligatorio avere questa ulteriore specializzazione per operare in ambito sportivo.

La psicologia dello sport è una disciplina relativamente giovane che si è conquistata uno spazio di autonomia all’interno della psicologia. Rientra nella classe della Psicologia Applicata, studia il comportamento umano e i processi psichici nell’ambito dello sviluppo psico-fisico e dell’attività sportiva.

All’interno del mondo dello sport, la figura dello Psicologo sta prendendo sempre più campo e diversi  sono i motivi di questo crescente coinvolgimento. In primo luogo, grazie ad una corretta informazione sulla figura dello psicologo che sta abbattendo numerosi pregiudizi (“A me non serve lo Psicologo dello Sport! Non ho mica problemi!” o “Sto benissimo. Non ho certo l’ansia! quindi a che mi serve? ”o ancora “Mica sono un professionista!”). In seconda istanza, le Olimpiadi di Tokyo 2020, hanno aiutato molto a far luce sull’universo mentale degli atleti in gara: tante sono state le testimonianze circolate sui media, evidenziando ansie e stress ma anche l’importanza di una preparazione mentale quando si fa sport ad alti livelli per il raggiungimento di una performance ottimale.

Troppe volte la figura dello psicologo viene vista in negativo, e associata al malessere; in realtà lo psicolog* non è un nemico dello sport, anzi!!! è assolutamente un valido alleato che mette a disposizione la sua specifica formazione per aiutare gli atleti a incrementare la performance individuale o di gruppo.

Ad oggi, sono tante le ricerche scientifiche che dimostrano come le abilità mentali possono essere allenate e potenziate, incidendo positivamente sulla prestazione. Infatti, a fianco dell’intensa  attività di ricerca si è fatto spazio il lavoro sul campo, che ha permesso la nascita di diverse tecniche e metodologie in grado di potenziare e migliorare il livello di performance degli atleti e delle squadre di varie discipline.

La prestazione ottimale è data da 4 componenti; quella tecnica, quella tattica, quella fisica e quella mentale. Molto spesso è proprio quest’ ultima ad essere decisiva in una gara.

Inoltre, la psicologia dello sport rappresenta una valida risorsa non solo per chi pratica una disciplina ad alti livelli ma anche per tutti coloro che praticano sport, amatori e nonche lavorano nel mondo sportivo (allenatori, dirigenti, tecnici, arbitri, medici, personal trainers, nutrizionisti, etc..) o che vivono il mondo dello sport, per esempio i genitori, possono usufruirne e trarne grandi vantaggi. Quest’ultimi, quando si parla del settore giovanile, rappresentano il target chiave nel lavoro con i più giovani, dal momento che l’obiettivo del lavoro con i bambini e i ragazzi non è tanto la performance quanto piuttosto un sano sviluppo.

Ma il lavoro dello psicologo dello sport spazia anche in altri settori:

  • Area della Terza età: per gli anziani, promuovendo ad esempio lo sviluppo di politiche di promozione dello sport;
  • Area della Riabilitazione (psicotraumatologia): per chi si trova alle prese con la ripresa da un infortunio. In questo settore, lo psicologo interviene sul trauma, sulle paure, sull’ansia da prestazione e sulla perdita di autostima che spesso rendono difficile il ritorno all’attività, ben oltre i tempi fisiologici della riabilitazione fisica.;
  • Area della Disabilità: per le persone con disabilità motorie e cognitive;
  • Area del Fitness: educare a stili di vita attiva e incoraggiare l’adesione a programmi per il fitness, sviluppando o rafforzando delle importanti modalità di cura di sè
  • Area del Wellness: per coloro che praticano attività motoria  al fine di ottenere e mantenere uno stato di benessere psicofisico;
  • Area della ricerca: per promuovere l’ideazione e l’applicazione di metodologie e tecniche sempre più appropriate, aggiornate e trasversali alle aree su menzionate.

Pertanto, seppur nella diversità degli ambiti di applicazione e di obiettivi, lo psicolog* e la psicologia dello sport si rivolgono a tutti coloro che praticano attività fisica e/o sportiva direttamente e a tutti quelli che ne sono coinvolti indirettamente (allenator*, istruttor*, genitori).

Ragione per cui, risulta importante che lo psicologo abbia un’adeguata formazione. Nello scenario attuale, l’ attenzione agli aspetti psicologici della prestazione se da un lato ha fatto crescere il coinvolgimento e il riconoscimento della categoria professionale, dall’altro ha innescato il proliferarsi di nuove figure, di professionisti della mente  senza alcuna formazione e laurea psicologica. Da qui la necessità di un riconoscimento istituzionale della figura dello psicologo dello sport.

Estate: è tempo di bagni al mare. Come aiutare i più piccol* ad avere un sereno rapporto con l’acqua?

Per un  neonato l’ambiente acquatico è quanto di più familiare possa trovare: è nel liquido amniotico che ha trascorso nove mesi di vita intrauterina ed è qui che ha sviluppato i suoi sensi e si è esercitato nei primi movimenti. Non c’è da sorprendersi quindi se i bambini appena nati mostrino un’innata affinità con l’acqua.

Compito dei genitori è e sarà quello di aiutarli a mantenere questa confidenza con l’acqua, fin dalle prime esperienze in piscina, al mare ma anche a casa nelle normali pratiche quotidiane come il bagnetto o la doccia.

Se è vero che molti bambini sembrano essere dei “pesciolini” che passerebbero la vita a sguazzare, è tuttavia altrettanto vero che altri già a pochi mesi di età inizino a rifiutare il contatto con l’acqua. Che cosa fare?

Anche in questo caso, dovranno essere gli adulti, per primi, a cambiare qualcosa del loro  comportamento affinché il rapporto con l’acqua possa diventare per i propri figli qualcosa di piacevole.

Se i genitori hanno paura dell’acqua e con il loro comportamento trasferiscono panico ai figli tutte le volte che hanno a che fare con bagni al mare o in piscina, come possiamo pensare che i più piccoli  possano godersi il momento in totale serenità? Rifiutarsi di prendere contatto con l’acqua sembra essere la strada migliore per la sopravvivenza, di tutti!

E poi, se i genitori sono invece dei pesci che vivrebbero sempre in acqua ma i loro figli no, meglio evitare  drammatizzazioni del tipo “Da chi avrà preso ? Non è figlio mio! Non c’è da avere paura dell’acqua, il bagno al mare è bellissimo”. Non dimentichiamo che qualsiasi forzatura eccessiva non può che irrigidire il bambino e allontanarlo ancora di più dall’obiettivo.

Che cosa possono fare i genitori per aiutare i figli che hanno paura dell’acqua?  Oggi ne abbiamo parlato con Martina Zipoli, istruttrice FIN.

“Sicuramente il primo contatto con l’acqua ha luogo con il bagnetto domestico; di fondamentale importanza risulta quindi rendere questo momento piacevole, avvalendosi di giochi e inserendolo nella routine giornaliera.”

Altra cosa importante da fare è la seguente: procedere con gradualità. “Se il bambino si mostra molto spaventato nei confronti dell’acqua, è bene proporre un avvicinamento progressivo e rassicuranteAll’inizio invitiamolo a bagnarsi  le mani e i piedi; successivamente sproniamolo a fare giochi che ne incoraggino una certa familiarità come i travasi ad esempio. Al mare tutto questo si traduce nel riempire il secchiello o l’annaffiatoio con l’acquaIn questo modo il bambino comincia a prendere familiarità bagnandosi i piedi e magari in un secondo momento possiamo proporgli di fare anche una breve camminata sul bagnasciuga”.

Prima del bagnetto vero e proprio può esserci uno step intermedio ancora. Molte volte a provocare la sensazione di paura non è solo l’acqua in sé, ma anche il disorientamento creato da un eccessivo spazio intorno, soprattutto al mare, con le onde. “Per questo può essere utile incominciare facendo prendere confidenza al bambino con l’acqua usando una piccola piscina gonfiabile, che può fornirgli l’impressione di tenere le cose “sotto controllo”.

Prima di concludere un ultimo valido consiglio: Mettete da subito, da appena nati, i bambini in piscina. Un corso di acquaticità per piccolissimi non serve per ‘imparare a nuotare’, ma può invece essere utilissimo per acquisire confidenza con l’ambiente liquido in modo da non farsi spaventare in seguito da schizzi, immersioni o ‘bevute’ impreviste. Se questo non è stato fatto e i bambini sono più grandi può essere comunque d’aiuto un corso di nuoto per arrivare preparati alla vacanza al mare”.

Tanti tuffi per tutti!

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