“AIUTO, NOSTRO FIGLIO HA L’ANSIA!”Perché viene l’ansia, come prevenirla e come comportarsi quando arriva?

Dietro sintomi ansiosi ci sono i vari stress ai quali sono sottoposti i bambini e i ragazzi. Anche lo sport, nonostante gli innumerevoli benefici, può provocare malesseri e tensioni. L’ansia è forse la problematica più comune vissuta dai giovani atleti.

Perché viene l’ansia, come prevenirla e come comportarsi quando arriva?

Punto di partenza fondamentale è quello di imparare a leggere l’ansia come un messaggio: un figlio sta comunicando con il corpo qualcosa che a parole non riesce a dire ed anche se soffre per questo, i genitori non devono assolutamente farsi prendere … dall’ ansia!

Detto questo, la domanda successiva che spesso mi viene posta dai genitori è la seguente: “Sì va bene, ma come ci dobbiamo comportare?Non esiste un approccio giusto ed efficace per tutti, perché molto dipende dalla situazione individuale che ha originato l’ansia: l’ideale sarebbe affidarsi ad un esperto.

Comunque sia, i genitori devono stare attenti ad alcuni COMPORTAMENTI ASSOLUTAMENTE DA EVITARE, come ad esempio:

  • Non banalizzare: usare frasi come “Dai non è niente!” oppure Non ci pensare, passerà!” hanno l’effetto di far sentire un figlio incompreso, non capito.

Chi soffre di ansia sta male veramente: la sofferenza non deve essere minimizzata.

  • Non incitare: altro errore comune è quello di esortare i figli a farsi coraggio, a darsi una mossa, spesso ricordando loro che “L’altra volta è andata bene, perché stavolta dovrebbe andare male?. Se ci riuscisse, lo farebbe già di suo!

Alcuni consigli pratici:

Come dicevano all’ inizio, i genitori devono assolutamente stare attenti a non farsi prendere dal panico, dalla fretta di far sparire l’ansia del figlio il prima possibile. Se l’ansia si è presentata, il passo successivo è individuare il messaggio che essa porta: quali sono i pensieri, gli stati d’animo le emozioni sottostanti? E contemporaneamente, invitare il bambino o il ragazzo a parlarne, a trovare le parole per esprimere quello che si porta dentro. Così facendo, non ci sarà più bisogno di far “parlare” il corpo con le varie manifestazioni ansiose. Molti genitori spesso mi obiettano che i loro figli si chiudono, che non ne vogliono parlare, ritenendo dunque inutile il mio invito. È vero, può succedere soprattutto se i figli sono adolescenti ma per quest’ ultimi sapere che i genitori ci sono e che sono disponibili ad aiutarli è comunque fondamentale, già di per sé terapeutico. Sicuramente vedere un figlio che soffre, senza poter far niente è frustrante e grande è la tentazione di intervenire; invece, sempre con gli adolescenti, il comportamento più utile è quello di esserci ma di farsi un po’ da parte, mandando così al ragazzo un messaggio di fiducia: anche da solo può provare a risolvere i suoi problemi.

Infine, è importante accettare un figlio per quello che è; a lui serve crescere senza che nessuno lo giudichi, gli faccia pressioni, dal momento che se sta male è proprio perché intorno a lui si sono create troppe aspettative.

 

Se non siete soddisfatti e volete maggiori informazioni scrivetemi a info@eleonoraceccarellipsicologa.it

Io sarò felice di accogliere e rispondere  alle vostre domande e alle vostre perplessità.

Figli e insuccessi sportivi: no alla sindrome del campione

Quando si verifica un momento critico per i figli, quale appunto una gara persa, mi capita spesso di essere contatta dai genitori in preda al panico: “Aiuto dottoressa nostro figlio ha perso una partita, lo scorso anno ha sempre vinto”.  Intanto è importante sottolineare che una gara persa ci può stare nella vita di uno sportivo, anzi … ce ne saranno sicuramente altre. I genitori vorrebbero sempre il meglio per i propri figli: ma siamo sicuri che questo “meglio” corrisponda sempre ad una vittoria? In questi casi, il rischio è quello di passare ai figli, anche inconsapevolmente,  un messaggio di questo tipo: si è importanti solo se si vince.

E’ fondamentale educare bambini e adolescenti ad affrontare anche la sconfitta, insegnando loro che ciò che conta è arrivare in fondo, divertirsi, migliorarsi e accettare che qualcun altro possa fare meglio di noi.

Concretamente, cosa possono fare i genitori per aiutare i figli a fronteggiare una sconfitta?

In primo luogo è importante valorizzare gli aspetti positivi di un fallimento. Ad esempio, se si tratta di un gioco di squadra sottolineare ai bambini quanto il loro contributo in campo è stato utile e perché, oppure valorizzarli rispetto all’impegno e al fair play, questo vale anche in uno sport individuale.

Affinché un insuccesso possa essere educativo, fondamentale è anche il contributo dell’allenatore e della società. Il tecnico deve assolutamente sostenere il lavoro fatto dalle famiglie e far partecipare i giovani atleti ad attività e a competizioni sportive rispondenti alle loro abilità e competenze.

In secondo luogo, soprattutto se si tratta di un figlio adolescente, è importante lasciare un tempo per metabolizzare la sconfitta e solo successivamente provare a chiedere informazioni in merito, sintonizzandosi con i suoi vissuti emotivi: “Comprendiamo la tua delusione …” oppure “Lo capiamo, ci sei rimasto/a male…”. Lasciando sempre aperta la possibilità di poterne parlare insieme se e quando vorrà. Rispetto a quest’ultimo punto, spesso gli adolescenti preferiscono restare reticenti con i genitori e aprirsi con l’allenatore. Comunque sia, per loro saper di poter contare sul genitore è lo stesso importante e … spesso terapeutico.

Bisogna imparare sin da piccoli a saper perdere e questo apprendimento dipende in larga misura dal comportamento dei genitori.

Per i figli è importante sentirsi amati per quello che sono, rispetto ai loro punti di forza ma anche rispetto ai loro limiti.

Bambini e adolescenti che si sentono amati in modo incondizionato non avranno il timore di mettersi in gioco e magari di sbagliare mossi dalla consapevolezza che i genitori sono pronti a sostenerli anche se non sono bravi in tutto.

Parola d’ordine RESILIENZA: anche le sconfitte possono rappresentare una vittoria

In psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva alle sfide che la vita pone.

Persone resilienti sono coloro che immerse in situazioni sfavorevoli riescono a fronteggiare efficacemente le difficoltà nonostante tutto e contro ogni previsione.

Anche in ambito sportivo si presentano situazioni difficili da gestire quali le sconfitte oppure gli infortuni.

Quali sono le caratteristiche che fanno di uno sportivo una persona resiliente? Non stiamo parlando di super poteri ma di aspetti di personalità, di capacità e di sostegni da conoscere e da saper valorizzare. La resilienza propone di non ridurre mai una persona alle sue carenze ma di incrementare le sue potenzialità.

Nello sport le sconfitte vanno messe in conto e dunque atleta e allenatore devono imparare a gestirle in maniera costruttiva: gli insuccessi rappresentano un’occasione per fare una valutazione delle proprie risorse, dei punti di forza e contemporaneamente delle criticità. Atleta e tecnico dovrebbero essere in grado di formulare (e condividere) obiettivi che siano adeguati: difficili ma raggiungibili. Problemi o intoppi nel raggiungimento degli obiettivi prefissati possono indurre l’atleta a dubitare delle proprie capacità e dunque a vivere la sconfitta come un fallimento personale. E se questo avviene ad un giovane atleta, per esempio ad un adolescente in cerca della propria identità, il rischio è che possa voler abbandonare lo sport. La vittoria è un importante obiettivo ma non è l’unico ma soprattutto la sconfitta nella competizione non è un fallimento personale o una minaccia al proprio valore come persona.

Anche i genitori hanno un loro importante ruolo: mamma e babbo vorrebbero vedere sempre i propri figli raggiungere il successo. In questi casi è opportuno ricordare che vittoria e successo non sono sinonimi: anche una sconfitta può coincidere con un miglioramento di prestazione o con il raggiungimento di un obiettivo stabilito.

Quando la prestazione viene percepita come una sconfitta personale sicuramente una potente influenza viene effettuata anche dalla motivazione. Se un atleta è fortemente motivato nel voler praticare la sua disciplina che comporta impegno, lavoro, sacrificio, rinunce, affronterà le sconfitte a testa alta, complimentandosi con se stesso per quello che di buono che è riuscito a fare e con l’avversario per la bravura dimostrata (prima o poi uno più forte lo si trova).

L’ allenamento psicologico, mental training, lavora specificatamente sugli aspetti descritti, ovvero sulla formulazione degli obiettivi e sulla motivazione, avvalendosi di un insieme di strategie di potenziamento delle abilità mentali, importanti al pari di quelle fisiche, tecniche e tattiche.

L’ apprendimento e l’applicazione di queste tecniche di gestione mentale è INDISPENSABILE negli atleti professionisti ma possono essere utilizzate con efficacia anche da atleti amatori che non si accontentano di prestazioni mediocri ma desiderano accedere al massimo delle loro potenzialità.

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