L’agonismo fa male?

“L’agonismo fa male?” Ultimamente, questa domanda mi viene posta da tanti genitori. Dietro questo interrogativo molto spesso riscontro paura ma anche una cattiva informazione; così ho pensato di estendere la riflessione nel tentativo di fare chiarezza ma soprattutto di rispondere ai dubbi e alle perplessità che i genitori (e di riflesso i figli) vivono quando il percorso agonistico viene anche solo immaginato.

Negli ultimi anni l’aspetto agonistico dello sport è diventato sempre più rilevante nelle diverse discipline sportive e proposto sempre più precocemente, coinvolgendo bambini e preadolescenti. La “Carta dei Diritti del Bambino nello Sport” afferma che il bambino ha diritto di divertirsi e a giocare come un bambino. È infatti impossibile pensare un’attività sportiva che prescinda dal gioco. Bisognerebbe anzi parlare sempre di “gioco sportivo” quando si parla dell’infanzia: i bambini lavorano e apprendono divertendosi. Purtroppo indirizzare i più piccoli verso un agonismo precoce fa perdere di vista l’importanza della componente ludica a favore di una specializzazione tecnica che non è per tutti: nella stragrande maggioranza dei casi il risultato che si ottiene è quello di favorire un abbandono precoce. La responsabilità di questo fenomeno è da attribuire sia alle società, il cui prestigio è condizionato dalle vittorie dei propri atleti, sia alle famiglie che hanno sempre maggiori aspettative di affermazione e di fama nei confronti dei figli. Visto in questi termini l’agonismo sembra sinonimo di successo. Proponendo e imponendo ai più giovani modelli irraggiungibili, li si espone a delusioni e umiliazioni, che alimentano insicurezza e scarsa stima di sé e non di rado anche lo sviluppo di disturbi psicologici soprattutto inerenti la sfera ansiosa e a livello psicosomatico. È allora non c’è da meravigliarsi se la risposta da parte dei giovani atleti è quella di lasciare prematuramente lo sport. Non solo, esperienze di questo tipo per molti bambini sono dei veri e propri traumi i cui effetti hanno ripercussioni anche nel loro sviluppo futuro.

Ma siamo sicuri che l’agonismo sia solo questo? Se così fosse, la risposta all’interrogativo posto dai genitori con cui ho parlato non potrebbe essere che affermativa. L’agonismo non è solo vittorie e successo, è un percorso che fa parte del fare sport: si può scegliere di farlo oppure no ma nel momento in cui lo si intraprende bisogna arrivare preparati. Molto spesso le società non danno importanza ad accompagnare e a sostenere le famiglie nel percorso verso l’agonismo; sono loro stesse a proporlo in maniera confusiva e limitante. Per questo sarebbe importante farsi aiutare da uno psicologo che lavora in ambito sportivo attraverso corsi di informazione e formazione.

L’attività agonistica è importante nella crescita di un minore, a patto che sia sostenuta e ben gestita dall’allenatore e dalla società, ma anche dai genitori.

Non bisogna avere fretta di “creare” dei campioni, di mettere i più giovani a competere per affermarsi come i migliori; se il bambino non si diverte in quello che fa, abbandona lo sport. I momenti di confronto sono importanti per la crescita e lo sviluppo della personalità del minore a patto che non siano improntati alla ricerca di un risultato a tutti i costi, quanto piuttosto a permettere di acquisire sicurezza e maggior autostima. Questo perché il bambino piccolo non è ancora in grado di dare il giusto valore alla sconfitta: per il giovane atleta tutto è riconducibile a se stesso e al suo valore personale. Solo quando il bambino sarà capace di associare alla sconfitta un’azione eseguita allora l’agonismo può essere vissuto come nell’adulto. Il vero significato dello sport, soprattutto nei più giovani, deve essere considerato non in funzione della vittoria e di un eventuale record da battere, ma come una condizione formativa in grado di sviluppare al meglio le potenzialità psicofisiche e le relazioni sociali. A questo vanno educati i più piccoli m anche i “più grandi”, allenatori e genitori.

Inevitabilmente l’attività agonistica prevede delle rinunce: invita i più piccoli al massimo impegno, a sviluppare un forte senso del dovere e di responsabilità  e a trascorrere molte ore della giornata ad allenarsi, trascurando attività e interessi normali per la propria età. Questo sacrifico sarà possibile se il piccolo sportivo si allena un in ambiente familiare e accogliente, dove gli adulti di riferimento lo sostengono e lo sanno apprezzare per il suo valore e non in funzione delle vittorie che ottiene. Questo è il fondamento imprescindibile affinché un giovane atleta possa crescere nello sport e con lo sport, trasformando il proprio sacrificio nella spinta motivazionale che lo induce a ricercare il confronto con l’avversario per verificare le proprie capacità e la validità del proprio allenamento.

In questo modo l’agonismo ha realizzato il suo vero obiettivo educativo e formativo.

Buon allenamento a tutti!

 

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