“MAMMA E BABBO VOGLIO FARE TENNIS” Quali sono i fattori che influiscono sulla scelta di uno sport e sulla motivazione

L’attività sportiva  ha un’importanza fondamentale nello sviluppo fisico, psicologico e sociale di bambini e adolescenti.

Ma come si arriva alla scelta di un determinato sport? 

Prima Regola fondamentale: dobbiamo essere noi genitori, in primis,  ad arrivare preparati a questo momento, conoscendo i fattori che possono influenzare la scelta.

Prima o poi accadrà che nostro figlio sia interessato  a  praticare uno  sport, presentandosi  con la fatidica affermazione “Mamma e babbo voglio fare tennis”. Sicuramente qualcuno di voi si sarà domandato: Come ha sviluppato l’interesse per questa specifica disciplina?”

Può darsi che sia attratto dal tennis perché lo ha praticato in vacanza oppure perchè lo ha provato alla festa dello sport; oppure ancora perché lo fa l’amico del cuore o qualcuno in famiglia. Ciascuno di questi fattori avrà una sua influenza peculiare non solo rispetto alla scelta e quindi all’ avviamento di un determinato sport, ma anche rispetto al suo mantenimento.

Tutto ciò è riassumibile nel concetto di motivazione allo sport.

Quando si parla di motivazione, si fa riferimento alla spinta dell’individuo ad agire ed a mettere in atto comportamenti orientati a uno scopo. Affinché si inizi nella propria vita a praticare una qualsiasi attività, infatti, è necessaria una spinta, una causa, appunto una motivazione.

Nel caso in cui la scelta di un figlio sia dettata da un’esperienza diretta sul campo, l’avviamento allo sport sarà agevolato e sostenuto da un’ alta motivazione. Quest’ultima, se rimane tale, sarà fondamentale anche nel mantenimento di quella specifica disciplina nel tempo.

Quando invece la decisione è incoraggiata dall’amico del cuore, il piccolo si avvicinerà con facilità allo sport e probabilmente nutrirà anche molto entusiasmo all’ inizio, ma non è detto che manterrà l’interesse per quella disciplina stabile nel tempo; il rischio di abbandono potrebbe essere dietro l’angolo.

Se invece la scelta è dettata dall’esperienza di qualcuno in famiglia, nello specifico di uno dei due genitori, occorrerà fare attenzione e comprendere la reale motivazione che sta dietro questa decisione.

E’ il figlio che ha scelto perché si è appassionato ad uno sport tanto raccontato a casa oppure è il genitore che ha “indirizzato” questa decisione  probabilmente  per  un   riscatto   personale   per   traguardi   che   non   è   riuscito   a   raggiungere? In quest’ultimo caso, gli effetti negativi della scelta non si verificheranno solo a livello della pratica sportiva (scarso coinvolgimento, bassa motivazione, abbandono precoce) ma anche a livello psicologico, ad esempio sull’autostima e sul senso di autoefficacia . Non dimentichiamoci che stiamo parlando di bambini e ragazzi, di soggetti in evoluzione. Lo sport, come già detto all’inizio, serve loro non solo per un migliore sviluppo sul piano fisico ma anche a livello emotivo e relazionale. Soprattutto durante l’adolescenza, la loro personalità si modella sulla base della personalità degli adulti che li circondano;  voi genitori, dovete essere assolutamente consapevoli dell’ importanza del vostro ruolo: le vostre parole e i vostri comportamenti hanno (e avranno) un peso. Per un figlio, sapere che mamma e babbo nutrono e nutriranno fiducia in lui, che lo accettano e credono nelle sue potenzialità, lo aiutano ad accrescere la stima di sé e a essere più sicuro.

 

Sicuramente la situazione in cui un figlio sceglie di praticare uno sport in base alla propria personale esperienza, è la condizione migliore da un punto di vista motivazionale, ma senza un adeguato supporto da parte degli adulti significativi, dei genitori e dell’allenatore, non è detto che possa durare nel tempo.

È proprio il sostegno da parte degli adulti che può fare la differenza anche nei casi in cui la motivazione è bassa, o comunque labile.  

In che modo allora, come genitori, possiamo aiutare i nostri figli a maturare la passione e l’interesse per quello sport?

Per prima cosa dobbiamo essere empatici; Ciò vuol dire aiutarli a stare dentro gli impegni presi, accompagnarli nel loro percorso, stando attenti a ciò che ci chiedono soprattutto con il corpo, con il linguaggio non-verbale, perché con quello verbale a volte non sono in grado di esprimersi.

C’è chi ha bisogno di essere sostenuto, incoraggiato e chi ha bisogno di essere lasciato in pace, cioè di vivere un’esperienza, accompagnato sì, ma messo in grado di potersi confrontare da solo col mondo.

È un diritto dei minori sperimentarsi, nel bene e nel male, senza il controllo diretto dei genitori anche sapendo che un altro adulto vigila su di loro. Inoltre, fondamentale è la consapevolezza dei nostri schemi emotivi, che si traduce nel saper gestire le nostre emozioni e i nostri atteggiamenti e nell’essere consci dell’importante ruolo educativo che si sta svolgendo in quel momento.

“Chi ben comincia è già a metà dell’opera” La tecnica del goal setting e le sue potenzialità in campo sportivo

 

 

Settembre per me è sempre stato il mese dei buoni propositi; l’ estate è al tramonto, le ferie sembrano già un ricordo lontano: avere dei progetti in mente per i freddi mesi a venire è doveroso, anzi fondamentale!

Anche nel mondo sportivo settembre è il mese della “partenza”, periodo in cui si definisce il programma della nuova stagione. Non fa una piega! E allora perché qualche volta accade che pur avendo in mente l’obiettivo o la meta che vorremmo raggiungere, non riusciamo nei nostri intenti? Probabilmente non è così facile come sembra.

La psicologia della sport offre un valido aiuto, proponendo una strategia molto efficace: la tecnica del goal setting o formulazione degli obiettivi.

Io uso moltissimo questo strumento con i miei atleti, soprattutto all’inizio della stagione sportiva.

L’ applicazione della tecnica è facile di per sé e se vogliamo anche veloce (non più di un’ora) tuttavia è necessario un lavoro profondo, di grande consapevolezza da parte dell’atleta che in alcuni casi può necessitare di un sostegno  più prolungato da parte dello psicologo per raggiungere quanto stabilito.

Si tratta di una strategia che può essere usata individualmente o in gruppo e preferibilmente con la partecipazione dell’allenatore.  La condivisione degli obiettivi tra l’atleta e tutte le figure significative che lo circondano è di fondamentale importanza poiché spesso accade che la mancata corrispondenza tra gli obiettivi individuati dall’atleta e quelli dell’ allenatore (talvolta anche tra quelli della società) può inficiare l’esito della prestazione.

Anche se l’esperienza di goal setting di ogni sportivo è soggettiva, è possibile dare una definizione generale delle caratteristiche di questa tecnica. Andiamo a vedere di cosa si tratta.

Intanto, Che cos’è un obiettivo? Possiamo definire un obiettivo “ uno scopo, una meta,un  risultato che ci si propone di ottenere (www.garzantilinguistica.it). Solitamente ciò avviene attraverso il ricorso a strategie e individuando un intervallo temporale entro cui vorremmo che l’obiettivo si realizzi.  Il fattore tempo è importantissimo, ragione per cui occorre individuare e definire obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Gli OBIETTIVI A BREVE TERMINE sono quelli che ci prefiggiamo di raggiungere nel giro di pochi mesi, in un tempo molto breve quindi. Sono gli obiettivi su cui focalizziamo la nostra attività all’inizio dell’anno sportivo, permettendoci così una prima valutazione della nostra performance. Si tratta di obiettivi che definiremo di “prestazione o performance” vale a dire quelli che si focalizzano sull’acquisizione o sul perfezionamento di un gesto atletico o di una certa abilità mentale.

GLI OBIETTIVI A MEDIO TERMINE, si riferiscono ai risultati che vorremmo ottenere all’incirca a metà della stagione sportiva (entro 6 mesi). Questi obiettivi mettono a fuoco la direzione verso cui stiamo andando, facendo emergere ciò che serve per andare avanti.

GLI OBIETTIVI A LUNGO TERMINE sono quelli che vorremmo raggiungere attraverso l’intera annata sportiva, offrendoci così una pianificazione generale di quello che sarà il nostro percorso sportivo. Gli obiettivi a lungo termine stimolano in maniera attiva l’atleta, soprattutto se protagonisti sono i più giovani, maggiormente esposti a un’organizzazione serrata dei ritmi di studio (o lavoro) con gli impegni sportivi.

Oltre al fattore tempo, affinché la tecnica del goal setting sia efficace è fondamentale che gli obiettivi:

  • vengano formulati in maniera chiara e precisa e che siano raggiungibili per l’atleta.

Al contrario, obiettivi ambiziosi o mete troppo vaghe possono esporre l’atleta (e il suo staff) a insuccessi e frustrazioni.

  • Siano misurabili: ciò permette di analizzare nei dettagli il risultato ottenuto e di assegnargli un

punteggio (ad esempio su una scala da zero a dieci) al fine di comprendere cosa ha funzionato e cosa, invece, sarà necessario andare a migliorare.

  • Siano espressi in positivo: le ricerche hanno evidenziato che, in alcuni casi, sia inefficace concentrarsi su obiettivi caratterizzati da frasi che contengono il “non” (es. non devo fare errori, non devo compiere movimento, non devo essere così rigido). Solitamente così facendo otteniamo l’esatto contrario di quello che vogliamo.
  • Siano flessibili; infatti, potrebbe capitare che un atleta si accorga di non essere in grado di raggiungere l’obiettivo prestabilito ad esempio per l’insorgere di un infortunio. Per non vanificare gli impegni di un’ intera stagione sportiva, la strategia migliore sarà quella di ridefinire gli obiettivi prefissati per poter essere sempre motivati a dare il massimo per il loro conseguimento.

Tutte queste regole oltre a promuovere il raggiungimento degli obiettivi prefissati permettono di tenere alta la motivazione.

E allora se è vero che “CHI BEN COMINCIA È GIÀ A METÀ DELL’OPERA” che cosa aspettate? Sotto con il goal setting! 

ABBANDONO SPORTIVO: CAUSE

⚠️Abbandono Sportivo: possibili cause.⚠️
E’ bene partire da qui, dalla conoscenza dei fattori che influenzano negativamente la pratica sportiva.
Prevenire è meglio che curare! E lo sport è sicuramente un alleato della nostra salute a livello fisico, psicologico e sociale.
#abbandonosportivo #dropout #prevenzione #benesseredentroefuoridalcampo #sportefamiglia #eleonoraceccarellipsicologa

ESTATE: TEMPO DI ACQUA E DI BAGNI AL MARE. COME AIUTARE I PIÙ PICCOLI AD AVERE UN RAPPORTO SERENO CON L’ACQUA

Per un  neonato l’ambiente acquatico è quanto di più familiare possa trovare: è nel liquido amniotico che ha trascorso nove mesi di vita intrauterina ed è qui che ha sviluppato i suoi sensi e si è esercitato nei primi movimenti. Non c’è da sorprendersi quindi se i bambini appena nati mostrino un’innata affinità con l’acqua.

Compito dei genitori è e sarà quello di aiutarli a mantenere questa confidenza con l’acqua, fin dalle prime esperienze in piscina, al mare ma anche a casa nelle normali pratiche quotidiane come il bagnetto o la doccia.

Se è vero che molti bambini sembrano essere dei “pesciolini” che passerebbero la vita a sguazzare, è tuttavia altrettanto vero che altri già a pochi mesi di età inizino a rifiutare il contatto con l’acqua. Che cosa fare?

Anche in questo caso, dovranno essere gli adulti, per primi, a cambiare qualcosa del loro  comportamento affinché il rapporto con l’acqua possa diventare per i propri figli qualcosa di piacevole.

Se i genitori hanno paura dell’acqua e con il loro comportamento trasferiscono panico ai figli tutte le volte che hanno a che fare con bagni al mare o in piscina, come possiamo pensare che i più piccoli  possano godersi il momento in totale serenità? Rifiutarsi di prendere contatto con l’acqua sembra essere la strada migliore per la sopravvivenza, di tutti!

E poi, se i genitori sono invece dei pesci che vivrebbero sempre in acqua ma i loro figli no, meglio evitare  drammatizzazioni del tipo “Da chi avrà preso ? Non è figlio mio! Non c’è da avere paura dell’acqua, il bagno al mare è bellissimo”. Non dimentichiamo che qualsiasi forzatura eccessiva non può che irrigidire il bambino e allontanarlo ancora di più dall’obiettivo.

Che cosa possono fare i genitori per aiutare i figli che hanno paura dell’acqua?  Oggi ne abbiamo parlato con Martina Zipoli, istruttrice FIN.

“Sicuramente il primo contatto con l’acqua ha luogo con il bagnetto domestico; di fondamentale importanza risulta quindi rendere questo momento piacevole, avvalendosi di giochi e inserendolo nella routine giornaliera.”

Altra cosa importante da fare è la seguente: procedere con gradualità. “Se il bambino si mostra molto spaventato nei confronti dell’acqua, è bene proporre un avvicinamento progressivo e rassicurante. All’inizio invitiamolo a bagnarsi  le mani e i piedi; successivamente sproniamolo a fare giochi che ne incoraggino una certa familiarità come i travasi ad esempio. Al mare tutto questo si traduce nel riempire il secchiello o l’annaffiatoio con l’acqua. In questo modo il bambino comincia a prendere familiarità bagnandosi i piedi e magari in un secondo momento possiamo proporgli di fare anche una breve camminata sul bagnasciuga”.

Prima del bagnetto vero e proprio può esserci uno step intermedio ancora. Molte volte a provocare la sensazione di paura non è solo l’acqua in sé, ma anche il disorientamento creato da un eccessivo spazio intorno, soprattutto al mare, con le onde. “Per questo può essere utile incominciare facendo prendere confidenza al bambino con l’acqua usando una piccola piscina gonfiabile, che può fornirgli l’impressione di tenere le cose “sotto controllo”.

Prima di concludere un ultimo valido consiglio: Mettete da subito, da appena nati, i bambini in piscina. Un corso di acquaticità per piccolissimi non serve per ‘imparare a nuotare’, ma può invece essere utilissimo per acquisire confidenza con l’ambiente liquido in modo da non farsi spaventare in seguito da schizzi, immersioni o ‘bevute’ impreviste. Se questo non è stato fatto e i bambini sono più grandi può essere comunque d’aiuto un corso di nuoto per arrivare preparati alla vacanza al mare”.

Buona estate a tutti!!

ESTATE: TEMPO DI VACANZE MA ANCHE DI IMPORTANTI COMPETIZIONI PER MOLTI GIOVANI SPORTIVI. SOPRAVVIVERE È POSSIBILE, FONDAMENTALI I GENITORI.

Lo sport non si ferma mai, anzi! Sicuramente chi gravita nel mondo sportivo sa bene di cosa parlo: l’estate è per molti atleti, soprattutto di discipline individuali,  il momento in cui vengono disputate le competizioni più importanti. Per molti sportivi gli allenamenti si intensificano visto che la scuola è finita, per altri invece, per coloro che per esempio sono stati rimandati in qualche materia,  gli impegni sportivi devono necessariamente incastrarsi con i corsi di recupero e/o eventuali ripetizioni. Mesi estivi che sembrano roventi non solo per il caldo…. Questo è quello che mi raccontano alcuni genitori. Come dico a quest’ultimi, siamo sicuri che questo punto di vista sia condiviso dai figli? Di solito sento dire da babbo e mamma frasi del tipo: “Con questo caldo come fa”. Oppure “Ma chi glielo fa fare! A quest’ora poteva già essere al mare con i nonni”. Dai ragazzi invece mi sento dire con una certa frequenza qualcosa di diverso: “Senza la scuola mi alleno proprio bene, non mi disturba nemmeno il caldo!” oppure “Lo sport mi aiuta a passare le giornate altrimenti mi annoierei”. Ovviamente ho scelto le affermazioni più caratteristiche perché mi sono di aiuto e spero che lo siano per tutti voi che state leggendo questo articolo. Sicuramente l’afa di quest’ultime settimane ha messo e continua a mettere a dura prova tutti, ma se le gare più importanti sono in questo periodo c’è poco da fare, vanno fatte. Allora fondamentale è trovare un equilibrio che faccia stare bene tutti, grandi e piccoli di casa, ma in special modo i più giovani che continuano a impegnarsi e a credere in quello che fanno malgrado il caldo e la fatica. Come più volte ho detto, anzi scritto, fondamentale è ancora una volta il contributo dei genitori.

Essere genitori è già di per sé un ruolo complesso, esserlo di un figlio che pratica sport a livello agonistico può portare a porsi ulteriori dubbi e a paure relative al proprio comportamento. Ed è proprio da ciò che nasce questo articolo (e più in generale il blog sport e famiglia). Non ho la presunzione di darvi la ricetta magica ma la possibilità di apprendere qualcosa dal vostro comportamento per migliorarvi come genitori.

La motivazione dei figli può risentirne in negativo se in famiglia vengono fuori frasi che in maniera più o meno diretta passano il messaggio: “chi te lo fa fare?!”. La motivazione è il motore dell’attività sportiva e nei più piccoli il suo mantenimento passa dal comportamento e dalle parole degli adulti significativi. Capite bene che mettere in discussione tutto l’impegno di un anno perché fa caldo e magari la stanchezza dei più grandi si fa sentire è molto pericoloso a livello di autostima e fiducia personale. Se un figlio rispetto all’ attività praticata non manifesta alcun disagio, perché arrecarglielo? Perché farlo dubitare di ciò che sta facendo con amore e sacrificio? I ragazzi devono sentire da parte dei propri genitori un appoggio incondizionato, che significa essere supportati e valorizzati per quello che sono ma anche per quello che fanno.

Gli allenamenti nel periodo estivo hanno tanti benefici sul piano psicologico. Solitamente, le società realizzano un orario ad hoc, in modo che i bambini e i ragazzi possano dedicarsi allo sport ma anche ad altro, come allo studio o alla compagnia degli amici. Sicuramente per più piccoli ma ancora di più per un adolescente, che fa un bel po’ di sacrifici per conciliare scuola, sport e tempo libero, questa è un’attenzione estremamente importante. Per molti, il fatto di dedicarsi agli allenamenti liberi dai soliti impegni e vissuti scolastici, rappresenta davvero un valido alleato della motivazione e del clima di allenamento e magari un’occasione per conoscere meglio i propri compagni di squadra.

Sicuramente un po’ di riposo serve, anzi è fondamentale per tutti. L’importante è imparare a programmare le vacanze e/o eventuali weekend lunghi contemplando gli impegni sportivi. Una famiglia non deve rinunciare ai propri progetti, semmai organizzarsi per esempio parlando con la società e/o l’allenatore per tempo oppure approfittando della trasferta sportiva per spostarsi tutti quanti.

In bocca al lupo per le gare e buona estate!

 

Per maggiori informazioni: www.eleonoraceccarellipsicologa.it

Abbandono Sportivo: la parola d’ordine è prevenzione

La pratica sportiva in Italia sta crescendo: lo rivelano i dati ISTAT più recenti.  Tra i 6 e i 10 anni d’età si raggiunge la percentuale più alta di sportivi in forma continuativa (il 59,7% dei bambini). Nel biennio 2013-2014 la fascia d’età con la più alta percentuale era quella 11-14 anni. Nelle fasce d’età successive, seppure diminuiscono gradualmente le percentuali di praticanti sportivi, nel 2016 si raggiungono i dati migliori degli ultimi anni. Si tratta sicuramente di un importante risultato che testimonia la risonanza che le campagne antiobesità volte a favorire stili di vita corretti portate avanti da istituzioni, pediatri, scuola, con il coinvolgimento dei genitori, stanno dando i loro frutti. Anche se comunque quello che resta da segnalare è che dopo la scuola primaria, i bambini italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ad accrescere le fila dei sedentari.

Di seguito, vi riporto alcune tra le principali cause dell’ abbandono sportivo giovanile riportate in letteratura:

  • carenza di momenti di gioco e di divertimento
  • impegni scolastici
  • il rapporto con l’allenatore
  • infortuni
  • bassa motivazione
  • pressioni da parte della famiglia
  • difficoltà legate alla socializzazione e alla competizione con i compagni
  • ansia da prestazione
  • scarsi risultati

Come spesso mi capita di dire, di sottolineare e talvolta urlare, la parola d’ordine è: PREVENZIONE.

Non v’è dubbio che le Federazioni Sportive debbano fare la loro parte, facendo attenzione a non esasperare l’attività agonistica in età precoce. Un bambino e una bambina continuano a praticare uno sport se si divertono. Celebri sono a questo proposito le parole di una famosa atleta olimpica, Josefa Idem: “Nello sport il gioco deve essere una costante. Quando questa componente viene a mancare è ora di smettere”. La componente ludica quando ci si rapporta all’ infanzia (e non solo!) è fondamentale.

Inoltre, soprattutto quando si lavora con i bambini , dovrebbe esserci un linguaggio condiviso tra la società e le famiglie: il focus non è il risultato, ma l’importanza dello sport come strumento di sviluppo e crescita, oltre che come fonte di divertimento e gratificazione. L ’importanza di sostenere e incoraggiare i ragazzi, evitando aspettative troppo elevate e pressioni esagerate.

Anche la scuola dovrebbe fare la sua parte, l’educazione motoria sembra essere un optional; invece, sono proprio gli anni della scuola primaria ad essere fondamentali, dovrebbero presentare e far provare ai bambini discipline sportive diverse in modo che ogni bambino/a possa scegliere autonomamente quello sport a lui più congeniale e che gli piace di più. Negli ultimi anni a Firenze e provincia, ma anche nel territorio di Prato questo viene fatto dalle feste dello sport che grazie alla collaborazione delle Associazioni Sportive locali offrono proprio la possibilità di provare i vari sport.

Non solo la scuola primaria, ma anche la scuola secondaria dovrebbe favorire e incentivare la pratica sportiva, anziché considerarla, come spesso purtroppo accade, una perdita di tempo che toglie spazio ad altre attività più importanti.

 

 

Per approfondimenti o consulenze scrivete a info@eleonoraceccarellipsicologa.it o telefonate al 3382227321

 

P come….paura di vincere! la vittoria che tutti gli atleti cercano, per molti può essere un’esperienza negativa, addirittura spaventosa

Per parlare del tema in questione, vi riporto le parole di un atleta che seguo: “Perché ultimamente mi succede questa cosa: nelle partite più importanti gioco bene fino quasi alla fine; poi, quando c’è da concludere mi incasino e rovino tutto: mi sale l’ansia, non riesco più ad avere il controllo della situazione e  lascio che l’avversario ne approfitti. Perché ho questa assurda paura? Sembra che abbia paura di vincere… “

Che cosa succede a questo sportivo? E’ lui stesso a etichettare con la giuste parole la sua condizione: ha paura di vincere. E’ proprio così. Questa paura, che in gergo tecnico viene definita come nikefobia, è una fobia vissuta da molti atleti ( e non solo!), una sorta di blocco fisico ed emotivo che influenza negativamente la prestazione.

Che cosa si nasconde dietro alla paura di vincere?

Molto spesso la persona che la vive si convince che il successo, la vittoria richiedano delle abilità che si ritiene di non possedere. Se un atleta viene considerato forte e talentuoso, ma lui non si percepisce tale, può innescarsi la paura di non essere all’altezza delle aspettative delle figure di riferimento (compagni, allenatore, familiari) o del pubblico, che produce il sabotaggio della tanto attesa vittoria. Indicativo di questa convinzione è il comportamento dell’atleta che in allenamento rende tanto di più che in gara, oppure, come accennavo all’inizio, quello dello sportivo che in occasione delle competizioni più importanti si classifica sempre al secondo posto.

Se prendiamo un atleta adolescente, queste convinzioni fanno parte del suo “normale” sviluppo.

La paura di non essere all’  altezza è fisiologica: fino a quando un giovane non si sente sufficientemente autonomo e pronto a scommettere su stesso, ad avere fiducia nelle proprie capacità, l’influenza degli adulti significativi e del gruppo dei pari rappresentano il termometro della sua autostima, nonché il nutrimento della sua personalità. Risulta quindi di fondamentale importanza comprendere il peso che queste aspettative hanno sulla sua crescita sportiva: più che queste risultano essere elevate, più le responsabilità che il giovane atleta si sente addosso aumentano. In queste condizioni, l’atleta oltre alla paura di deludere le aspettative altrui, può sviluppare anche la paura di non riuscire a mantenere uno standard di prestazioni alto. In molti ragazzi questa paura unita al pensiero del rendimento scolastico da mantenere può condurre anche all’ abbandono sportivo.

In altri casi, la paura di vincere può presentarsi nell’atleta a seguito di un successo inaspettato e repentino, che lo “strappa” dalle proprie abitudini, dal proprio ambiente, dal proprio ruolo nel mondo, e da tutto ciò che per lui prima era rassicurante, familiare e prevedibile: in questa situazione l’atleta può attuare comportamenti tali da permettergli di tornare alla situazione precedente, rifiutando i benefici della vittoria. Per un adolescente, lo sradicamento dal suo ambiente sicuro può essere a tutti gli effetti un trauma se non opportunamente gestito.

Che cosa si può fare?

Il mental training offre tanti strumenti di lavoro ma sicuramente il primo passo da fare è avere il coraggio di riconoscere le paure e i timori profondi legati alla vittoria e al successo, passaggio questo che per un atleta adolescente può risultare difficile, se non addirittura impossibile. Molto spesso la paura di vincere, di affermarsi, esprime un rifiuto a livello inconscio di una dimensione più matura di sé. Si tratta di una paura superabile a patto di ammetterla, anzitutto a se stessi, ricordando che non ha a che vedere con le proprie qualità, ma con un emotività non ancora ben “strutturata” su cui possiamo lavorare e migliorare. A volte ci si riesce da soli, altre volte può essere d’aiuto il sostegno di uno psicologo. E quando si parla di bambini e di ragazzi, di soggetti in età dello sviluppo, fondamentale è coinvolgere le figure adulte di riferimento: in primis i genitori ma anche l’allenatore.  

Per approfondimenti o domande in merito, contattatemi: info@eleonoraceccarellipsicologa.it

 

Agonismo e Scuola: binomio possibile. Il segreto? Il ruolo dei genitori

Nella mia attività incontro spesso genitori di giovani sportivi in ansia per la scuola. Da mamma capisco bene l’importanza dell’istruzione nella vita dei figli e dunque comprendo anche la preoccupazione dei miei pazienti. Semmai quello che capisco meno, che molte volte è fonte di conflitti in casa, è il fatto di paragonare tra loro scuola e sport come se fossero due antagonisti.

Sicuramente la scuola ha il primato tra le attività importanti per i nostri figli ma siamo sicuri che lo sport sia il suo più grande nemico?

La risposta è no. Anzi, lo sport è a tutti gli effetti un valido alleato, un amico della scuola. 

Io seguo tanti giovani sportivi che fanno agonismo, agonismo con la A maiuscola, passando tante ore in campo e in palestra, quasi quanto il tempo che passano a scuola. Fanno una vita fatta di tanto impegno, di sforzi, di passione e di molti sacrifici ma anche di risultati. Ragazzi di 14 anni che escono di casa la mattina alle 6 poco più per frequentare la scuola nella città dove si allenano, ragazze di tredici anni che giocano in campionati diversi e che prima delle 23 (quando va bene!) non rientrano mai a casa e giovani di 16 anni che almeno una volta al mese sono in trasferta in competizioni a livello nazionale ed internazionale. E ogni volta che parlo con loro, l’amore che li muove nel loro sport è davvero tanto, incommensurabile. Non li ho mai sentiti dire “Sono stanco/a perché faccio una vita stressante” oppure “Sono schiacciato/a dalla mia vita piena di impegni sportivi”. Semmai li ho sentiti affermare più volte e con tanta soddisfazione: “Questa è la mia vita. E’ faticosa ma sono felice di durare fatica per quello che amo fare!” oppure “Sono fiero di fare tutto questo per il mio sport, è la mia vita”. Non solo. Questi giovani ritagliano anche spazio per gli amici e per il tempo libero. Sappiamo bene quanto, negli anni dell’adolescenza, il gruppo dei pari sia di vitale importanza e farne parte è assolutamente fondamentale. E qualcuno, addirittura, riesce anche ad avere la fidanzata!

Quando parlo con i genitori invece spesso mi sento raccontare della vita stressante che fanno i figli e delle difficoltà scolastiche che incontrano, del tipo: “Nello sport va molto bene ma a scuola arriva alla sufficienza scarsa, dovrebbe fare di più!” o ancora “Per allenarsi trova sempre tempo, per la scuola mai. Quando arriva poi la pagella si ride!”. E queste stesse parole, le sento pronunciare anche in presenza dei figli e quando questo non si verifica so comunque per certo che a casa, l’annosa rivalità tra i risultati sportivi e quelli scolastici, è sempre all’ordine del giorno.

Così questi giovani sportivi si sentono contesi tra la vita sportiva e quella scolastica, sviluppando molto spesso emozioni contrastanti, ambivalenti, quali gioia, soddisfazione ed entusiasmo ma anche sentimenti quali senso di colpa, senso di inadeguatezza e l’autosvalutazione di sé: “Nello sport sono bravo ma nella scuola non sono nessuno!”. Questa frase spiega molto bene ciò che gli adolescenti vivono, la fatica che fanno a sviluppare un’immagine di sé positiva. E se lo sport per loro potrebbe essere a tutti gli effetti un valido alleato della loro autostima, posto in antitesi alla scuola, può trasformarsi in una bomba ad orologeria che può esporre i più giovani allo sviluppo di malessere e di disagio psicologico.

E’ qui che risulta importante il ruolo dei genitori, anzi fondamentale.

Il successo e il fallimento sono i principali elementi che alimentano lo sviluppo del Sé, la formazione dell’ identità personale. Pertanto, la convinzione di riuscire nelle attività sportive favorisce il conseguimento del successo, alimenta la fiducia e la stima di sé, contrastando l’insorgere di sentimenti negativi e l’assunzione di comportamenti problematici. Questi effetti positivi potrebbe essere d’aiuto  e quindi spendibili anche in campo scolastico, migliorando il rendimento e favorendo il conseguimento di risultati migliori. Come spiegato anche in un articolo precedente, numerose ricerche mettono in luce il fatto che tanti bambini e ragazzi, che a scuola hanno delle difficoltà più o meno riconosciute, come un disturbo dell’apprendimento oppure altro, spesso trovano nello sport una sana alternativa alla scuola, dove invece stentano a vedere maturare i frutti del proprio impegno.  E allora perché limitarli e talvolta privarli di qualcosa che invece li rende felici e più forti a livello psicologico?

Non è certo un limite il conseguire risultati in campo sportivo, semmai una risorsa. E come sottolineavo prima, tanti aspetti positivi del carattere che vengono fuori nel praticare una disciplina sportiva potrebbero essere rafforzati e valorizzati anche in ambito scolastico. Per questo, imprescindibile è il ruolo dei genitori che dovranno innanzitutto imparare a non mettere sempre a confronto scuola e sport.  I genitori, devono essere consapevoli di questo, dal momento che le loro parole e i loro comportamenti hanno un peso e condizionano profondamente i loro piccoli.

Per un figlio, sapere che un genitore  nutre e nutrirà fiducia in lui, che lo accetta e crede nelle sue potenzialità, lo aiuta ad accrescere la stima di sé e a essere più sicuro. E se lo sport rappresenta un contesto di vita importante per i giovani, dove riescono ad acquisire maggiore fiducia, allora occorre sostenerli e incoraggiarli in questo ambito. Nel fare questo, i genitori dovranno stare attenti a quelle che sono le loro personali risonanze, frutto della loro esperienza. I genitori sono per i figli dei modelli: se per gli adulti lo sport ha rappresentato il luogo dove hanno sviluppato la propria personalità e raggiunto dei traguardi, probabilmente verrà loro più facile supportare bambini e ragazzi nel percorso sportivo; viceversa, se per loro lo sport è stato una perdita di tempo, più difficile sarà trasmettere la passione e l’ impegno verso questo ambito. È importante, quindi, che il genitore, riconosca quelli che sono i propri vissuti rispetto alla vita sportiva del figlio, che potrebbero involontariamente influenzarlo senza rendersene conto.

Sicuramente fare tutto questo è un’impresa ardua, ma non impossibile. Se noi adulti in primis abbiamo fiducia in noi, nelle nostre potenzialità, allora anche per i figli sviluppare e nutrire questi sentimenti sarà più facile. Provare per credere e se avete delle difficoltà, fatevi aiutare prima che siate troppo tardi. Prevenire è meglio che curare. Buon lavoro!

 

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