CAMMINATE & TREKKING CON BAMBINI E BAMBINE, MISSIONE POSSIBILE!!!

C’è chi approfitta delle ferie per andare al mare e chi invece ne approfitta per andare in montagna.

In questo articolo condividerò alcuni piccoli segreti per rendere questa esperienza un’avventura piacevole per tutta la famiglia.

  1. I GENITORI RAPPRESENTANO UNA GUIDA, UN MODELLO DA SEGUIRE ANCHE NEL TEMPO LIBERO.

Se i genitori sono insicuri i bambini sono insicuri, se i genitori sono positivi e propositivi i bambini fanno altrettanto.

Abbiate coraggio e fiducia nei vostri piccoli e non allarmatevi se la prima volta vostro figlio fa i capricci e non vuole camminare o se non cammina in città, non è detto che non cammini su un sentiero. Perciò non abbiate esitazioni e presentate subito l’esperienza come una grande avventura.

 

  1. RENDERE IL TREKKING UN’ESPERIENZA DIVERTENTE.

Come? Ad esempio organizzando la camminata come un gioco: si può preparare la passeggiata per tappe, chiedendo ai bambini di raggiungere una serie di punti che avremo individuato insieme sulla mappa o sul cellulare (un incrocio tra sentieri,un fiume, …..); oppure proporre ai bambini una specie di caccia al tesoro nei boschi.

Con i più piccoli, sempre nell’intento di non farli annoiare, può essere divertente raccontare loro una storia (magari ambientata nel bosco!) o andare a caccia di animali: insetti, uccelli, orsi, volpi….

Via libera alla creatività!

L’importante è ricordarsi che tanto più i bambin e le bambine hanno obiettivi concreti e facili da raggiungere, quanto più sono motivati a camminare.

 

  1. INSERIRE L’ ABITUDINE A CAMMINARE COME UNO STILE DI VITA PER TUTTA LA FAMIGLIA

Portate i bambini a camminare fin da quando sono piccolissimi. All’inizio nel marsupio, poi nello zaino e poi ancora con i loro piedini, prima per pochi metri con la mano di mamma e babbo e poi finalmente da soli. Ricordatevi che il passo da mantenere durante la passeggiata è il loro, non il vostro. È fondamentale che i più grandi di casa cerchino di adottare fin dalla partenza un ritmo tranquillo e il più costante possibile, magari contemplando anche delle pause.

 

  1. INCORAGGIARE BAMBINI E BAMBINE PRIMA, DURANTE E DOPO IL PERCORSO.

Prima, durante e dopo il trekking non dimenticatevi di lodarli. E’ importante scegliere lodi che descrivano ciò che il bambino fa e che valorizzino l’impegno e lo sforzo più che le caratteristiche personali. Facciamo qualche esempio: “Ti sei impegnato molto oggi e ce l’hai fatta! Puoi essere orgoglioso di te!”. “Oggi hai fatto un’avventura da grandi: il tuo sforzo e il tuo impegno ti hanno permesso di arrivare in fondo. Io sono soddisfatta di te”. Questo genere di affermazioni sono molti utili per i bambini perché promuovono l’associazione tra impegno e risultati: di conseguenza, il piccolo imparerà che se una volta non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo, la volta successiva, impegnandosi di più, potrà farcela. Imparerà inoltre ad avere il controllo di ciò che lo circonda.

 

Buone passeggiate a tutti!!!!

COME STIMOLARE I BAMBINI E LE BAMBINE A MUOVERSI? IL BUON ESEMPIO DEI GENITORI È FONDAMENTALE

Il processo imitativo, tipico dell’età evolutiva, porta i bambini ad osservare ciò che fanno i genitori e a riprodurlo. Il famoso psicologo canadese Alfred Bandura intorno agli anni ’60 ha adoperato il termine modellamento (modeling) per identificare un processo di apprendimento (teoria dell’apprendimento sociale) che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello.

Tale processo si verifica ogni giorno e assume particolare importanza nell’infanzia. Grazie a questa teoria possiamo capire perché i bambini fanno ciò che vedono e non ciò che viene detto loro di fare.

E allora, come si possono motivare i bambini e le bambine alla pratica sportiva e al movimento? Il ruolo dei genitori è fondamentale: i bambini apprendono dalle azioni che osservano.

Ricordatevi anche che non è necessario essere dei grandi atleti, né praticare sport per periodi di tempo estremamente lunghi o sottoporsi a chissà quale sforzo per “modellare” il comportamento dei più piccoli; per garantire e promuovere il movimento nella vita quotidiana dei nostri bambini, è fondamentale insegnare loro delle buone pratiche giornaliere.

Di seguito alcuni consigli pratici:

  • Abituate i vostri figli a muoversi fin da piccoli: diventerà per loro uno stile di vita quotidiano e una sana abitudine da riprodurre per crescere bene.
  • Mostratevi attivi, energici e utilizzate il vostro tempo libero per praticare giochi di movimento o sport insieme a loro.
  • Fate conoscere loro diversi modi di muoversi, stimolando la loro curiosità e aiutandoli a sfruttare al meglio le tante energie che possiedono in questa fase della vita.
  • Permettete ai bambini di fare l’attività motoria che più preferiscono: una cosa fatta con piacere aumenta la motivazione, il divertimento e la costanza con cui viene praticata.

Tutta la famiglia trarrà beneficio dall’esercizio fisico e dal tempo trascorso insieme!

Che aspettate? Progettate per questo weekend (si spera di sole) una girata in bicicletta o una passeggiata all’aria aperta.

Buon divertimento!

Come si può migliorare la fiducia nelle proprie capacità?

 

L’autoefficacia è un concetto psicologico elaborato da Albert Bandura (1997), psicologo canadese, teorico dell’apprendimento sociale.

Secondo questo autore, l’autoefficacia fa riferimento a quell’insieme di convinzioni che guidano il nostro comportamento e grazie alle quali ci sentiamo in grado di affrontare situazioni e problemi specifici, prevedendo una sequenza di azioni che portano al conseguimento di determinati risultati.

L’ autoefficacia è un concetto che spesso viene associato a quello di autostima: in realtà non sono sinonimi.  L’autostima è un giudizio di valore su come si è, ed è indipendente dal proprio comportamento. Per riassumere potremmo definirla il “saper essere”. Invece, l’autoefficacia è la consapevolezza che abbiamo delle nostre competenze in uno o più settori, in sintesi il saper fare. Facciamo un esempio per maggiore chiarezza: quando la percezione di autoefficacia è bassa, pertanto sento di essere inefficace, non per questo la mia autostima crolla.

In ambito sportivo, la percezione di autoefficacia ha un ruolo determinate sulla prestazione, sia in fase di allenamento che di gara.

Come si lavora per migliorare la fiducia nelle proprie capacità?

In primo luogo è importante sottolineare che, le credenze di efficacia, tanto preziose per il successo e il benessere dell’atleta, non corrispondono a convinzioni stabili e immutabili, ma possono cambiare ed essere allenate con opportune metodologie e tecniche di potenziamento.

Inoltre, la fiducia in se stessi, per tutti gli atleti (anche di alto livello) ha sempre dei momenti più alti e dei momenti più bassi ma non è mai o tutto o niente. E ‘uno stato d’animo che oscilla, quindi non vi abbattete se la vostra autoefficacia, in un certo momento, è bassa. Basta concentrarsi sul proprio miglioramento, e la vostra fiducia farà altrettanto.

Di seguito alcuni consigli:

  • CONCENTRATEVI SU VOI STESSI

Invece di pensare a ciò che stanno facendo i vostri avversari o i vostri compagni di squadra, concentratevi esclusivamente sulla vostra prestazione e su come migliorarla. Quando ci si concentra su di noi, su come possiamo migliorare il nostro rendimento in campo, si diventa più fiduciosi perché ci si focalizza su qualcosa di cui si ha il controllo.

 

  • CONCENTRATEVI SULLA PRESTAZIONE, NON SUI RISULTATI

In linea con quanto scritto sopra, concentrarsi sulla prestazione aumenta il nostro senso di controllo della stessa, diversamente da quanto accade se ci focalizziamo sui risultati. Facciamo un esempio: se io faccio la mia miglior prestazione in assoluto ma se l’avversario è più forte, il risultato sarà negativo. Se siete concentrati sulla prestazione, rimarrete magari delusi dopo una sconfitta, ma la vostra autoefficacia rimarrà alta, perché saprete di aver dato il vostro meglio.

  • FOCALIZZATEVI SUL QUI ED ORA

Quando si ha un successo in partita ma anche nel quotidiano, in allenamento, la vostra autoefficacia aumenta. Se la vostra fiducia in voi stessi aumenta di una piccola quantità ogni giorno, provate a pensare a come sarà il vostro livello fra un mese!

 

  • NON FOCALIZZATEVI SOLO SUGLI ERRORI
    Imparare dagli errori è importante, ma rimuginare su di essi non è produttivo in termini di autoefficacia. Concentratevi sulla prestazione e su come poter dare il vostro meglio, senza focalizzarvi eccessivamente sugli errori: questo, aumenterà la fiducia in voi stessi.

 

  • PENSATE POSITIVO

Puntate sulle vostre risorse: in modo da non evitare i problemi ma da fronteggiarli in maniera costruttiva, guardando al futuro con fiducia e produttività.
Buon lavoro!

Dimagrire è anche una questione di testa

Le feste sono da poco finite e come da programma, molte persone si adoperano per il raggiungimento dei buoni propositi per l’anno nuovo: primo tra tutti, quello di perdere peso.

Cosa succede a livello mentale quando si decide di intraprendere una dieta? Quali sono le possibili insidie?

Intanto partiamo da questo dato di fatto: volente o nolente, il rapporto con il cibo si modifica; alcuni cibi, come cioccolata, patatine, dolci e pizza, non si configurano più come alimenti, ma diventano dei potenziali nemici da allontanare che innescano una condizione di allerta permanente. Inizia così una battaglia finalizzata a difendersi dal desiderio di alcuni cibi. Pensieri come “Non devo mangiare dolci” oppure “Non posso mangiare cioccolata” potrebbero essere molto pericolosi in quanto parlare in negativo al cervello è controproducente poiché direziona l’attenzione proprio su ciò che si vuole evitare.

Stare a dieta, non deve diventare una lotta contro se stessi né tantomeno, una lotta contro la propria forza di volontà: il dimagrimento non può e non deve diventare l’unico obiettivo della propria vita.

Affinché una dieta sia davvero efficace, occorre anche lavorare sulla consapevolezza del proprio mondo interno, sulla consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, dei propri bisogni ma anche dei pensieri e delle emozioni che sottendono il nostro comportamento alimentare.

Troppe volte il cibo finisce per trasformarsi in una sorta di anestetico con cui si cerca di eliminare la sofferenza o l’insoddisfazione, una scorciatoia con cui si tenta di riempire il senso di vuoto.

Dimagrire non è solo una questione di quanti chili si perdono, quante calorie dobbiamo assumere giornalmente, ma si tratta piuttosto di una trasformazione che coinvolge interamente una persona perché ha a che fare sia col corpo che con la mente che sono in continua connessione. E forse più che parlare di dieta, sarebbe utile parlare di “stile di vita” che non va quindi seguito per un breve periodo ma il più a lungo possibile: una scelta di benessere che ha un inizio e non una fine perché il significato è prendersi cura di se stessi e questo dovrebbe durare tutta la vita.

Ecco che il lavoro dello psicologo diventa fondamentale: un valido aiuto per preparare o accompagnare la persona durante questo percorso, individuando e gestendo i possibili ostacoli e  per ottenere e mantenere risultati ottimali nel tempo.

 

INFORTUNIO: LA RIABILITAZIONE E’ ANCHE PSICOLOGICA

Chi pratica sport, sia a livello agonistico che a livello amatoriale, prima o poi può imbattersi in un infortunio. Quest’ultimo rappresenta un evento destabilizzante le cui conseguenze si manifestano non solo a livello fisico ma anche e soprattutto a livello dell’equilibrio emotivo e psicologico. Vediamo cosa succede nello specifico.

Solitamente l’infortunio si presenta nella vita degli atleti senza preavviso: lo sportivo non può fare altro che arrendersi al suo decorso. Razionalmente la situazione è questa anche se praticamente per un atleta questa ”resa” non è affatto facile, anzi!

Il fattore tempo per molti può diventare un’ ossessione. Infatti, la prima domanda che uno sportivo si pone al momento del trauma è la seguente: “Quando potrò riprendere?”. Interrogativo che molto spesso diventa anche quello della società e dei genitori, quando l’ infortunato è un giovane. L’atleta tenta così di gestire il danno subito focalizzandosi su immediate fantasie di ripresa; ma quando arriva la consapevolezza che il tempo di recupero è connesso al trauma subito e darne un’indicazione precisa non è possibile, l’incertezza diventa protagonista. Il non sapere quando sarà possibile tornare ad allenarsi e partecipare alle gare, mette in discussione gli investimenti e gli sforzi fatti fino a quel momento, vanificando gli obiettivi della stagione sportiva. L’atleta vive così un forte smarrimento e spesso anche una grande solitudine, poiché è costretto ad allontanarsi dall’ ambiente sportivo, vissuto come una seconda famiglia.

Non solo. Quando il recupero procede positivamente e il rientro in campo è oramai vicino, il ricordo  dell’evento traumatico può ripresentarsi con forza, portando l’atleta a vivere con preoccupazione e insicurezza l’allenamento. Questa condizione risulta essere molto pericolosa, perché può condurre a nuovi infortuni e in casi più gravi, quando l’ansia diventa ingestibile, può spingere l’ atleta ad abbandonare l’attività sportiva.

Si comprende bene quanto i fattori psicologici abbiano un impatto significativo non soltanto sul benessere generale dell’atleta, ma anche sul decorso dell’infortunio. Quest’ultimo, se gestito con superficialità può essere un fattore di rischio per il ritorno alle gare dell’atleta.

L’ intervento dello psicologo dello sport risulta fondamentale quando si presenta un infortunio: la riabilitazione è anche psicologica.

L’atleta infortunato per tornare ad allenarsi con fiducia deve riconquistare la sua identità di sportivo.

Lo psicologo dello sport offre il supporto necessario per mantenere alto il livello di motivazione nei confronti del processo riabilitativo, che spesso è già di per sé faticoso e stressante, promuovendo un atteggiamento mentale positivo e individuando con l’atleta strategie e risorse per affrontare l’infortunio e garantire un  rientro all’attività  sportiva il più sicuro e veloce possibile. Inoltre, esistono delle tecniche mentali specifiche che rappresentano un ulteriore aiuto per lo sportivo.

L’importanza del lavoro psicologico è racchiusa in questo aforisma “Guarire è toccare con amore ciò che abbiamo precedentemente toccato con paura”. S. Levine

Allenarsi ai tempi del coronavirus: parola d’ordine motivazione

La psicologa dello sport è una valida alleata degli atleti anche in questo momento storico così delicato: gli strumenti che offre, possono supportare anche “a distanza” la preparazione mentale degli sportivi.

Intanto partiamo da questo presupposto: il valore e l’importanza dei rapporti umani, delle relazioni. Credo che non ci possa essere un apprendimento significativo senza delle relazioni significative. Chi di voi, nel suo percorso di vita, non ha subito l’influenza di un docente, di un allenatore o di un adulto?

Anche se, per molti atleti, lo sport è sospeso, non ci dimentichiamo dell’importanza di alimentare relazioni, soprattutto con i più giovani per i quali l’adulto rappresenta un modello di  riferimento. E’ attraverso questi rapporti che anche davanti ai blocchi imposti da dpcm e ordinanze varie, si può continuare ad alimentare la motivazione che spinge a fare sport e a resistere nei momenti critici. A volte manca questa consapevolezza negli allenatori, in generale negli adulti, perché questa emergenza sanitaria mette alla prova tutti, facendo vivere emozioni e sentimenti forti e intensi, che in casi estremi possono portare allo sconforto e alla rassegnazione. Il coronavirus sta prendendo e portandoci via tante cose, non facciamo portare via la passione più grande che abbiamo, quella di insegnare il nostro amore per lo sport. E quindi per riuscire a motivare i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze sarà importante innanzitutto motivare se stessi: come Plutarco scriveva: gli allievi “non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere”. Questo il senso di ciò che dobbiamo imparare a fare.

Andando più nell’operativo, a proposito di relazioni e motivazione, in psicologia dello sport esiste una tecnica davvero preziosa: il goal setting ovvero la formulazione degli obiettivi.

Io uso moltissimo questo strumento con i miei atleti, soprattutto all’ inizio della stagione sportiva ma può essere una strategia efficace da usare anche adesso. Vi spiego brevemente come funziona per poi fare i dovuti approfondimenti.

Intanto, partiamo da questa domanda: Che cos’è un obiettivo? Possiamo definire un obiettivo “uno scopo, una meta, un  risultato che ci si propone di ottenere (www.garzantilinguistica.it)”. Solitamente ciò avviene attraverso il ricorso a strategie e individuando un intervallo temporale entro cui vorremmo che l’obiettivo si realizzi.  Il fattore tempo è importantissimo, ragione per cui occorre individuare e definire obiettivi a breve, medio e lungo termine.

In questo momento formulare obiettivi a medio e lungo termine è difficile perché di fatto in questa situazione di emergenza non sappiamo come ma soprattutto quando potremo ripartire. Ragione per cui, focalizzarsi su una pianificazione a breve termine è la strada migliore da perseguire, mantenendo comunque una attenzione al futuro e a ciò che è importante rimandare e magari rivedere. Infatti, agli atleti che hanno già lavorato sulla pianificazione su tutti e tre i livelli (breve, medio e lungo termine) suggerisco due cose: la prima è quella di mettere da parte il planning stagionale delle competizioni, che magari potrà tornare, anzi sicuramente sarà utile quando tutto ripartirà. E ovviamente quando sarà il momento questo documento dovrà essere rivisto, ridefinendo gli obiettivi prefissati.  

Ricordiamoci che una caratteristica fondamentale del goal setting è  la flessibilità: come di fatto è accaduto in queste settimane, con l’avvento della pandemia, raggiungere gli obiettivi stagionali prestabiliti diventa impossibile. E qui arriva il secondo suggerimento. Per non vanificare gli impegni di un’ intera stagione sportiva e non alimentare la percezione di impotenza e fallimento personale, è importante partire da questa domanda: “Quali sono gli obiettivi che posso raggiungere tenendo conto di questa situazione di blocco forzato?”

Gli obiettivi per gli atleti sono una vera e propria mappa: se le coordinate sono sbagliate e portano verso una meta irraggiungibile, non si arriva a destinazione. Ecco, una situazione di questo tipo non deve assolutamente verificarsi, per non alimentare negli sportivi, indipendentemente dal tipo di disciplina praticata, paure e preoccupazioni inutili, soprattutto ora che viviamo in questa condizione di disorientamento.

La domanda posta sopra “Quali sono gli obiettivi che posso raggiungere tenendo conto di questa situazione ?” è un valido interrogativo anche per chi si trova a cimentarsi per la prima volta con la pianificazione degli obiettivi. E’ importante partire da qui e darsi degli obiettivi giornalieri da rivedere alla fine di ogni settimana. Si tratta di un’importante strategia motivazionale che a sua volta genera soddisfazione e benessere.

Oltre al fattore tempo, affinché la tecnica del goal setting sia efficace è fondamentale che gli obiettivi:

  • vengano formulati in maniera chiara e precisa e che siano raggiungibili per l’atleta. Al contrario, obiettivi ambiziosi o mete troppo vaghe possono esporre l’atleta (e il suo staff) a insuccessi e frustrazioni.
  • Siano misurabili: ciò permette di analizzare nei dettagli il risultato ottenuto e di assegnargli un punteggio (ad esempio su una scala da zero a dieci) al fine di comprendere cosa ha funzionato e cosa, invece, sarà necessario andare a migliorare.
  • Siano espressi in positivo: le ricerche hanno evidenziato che, in alcuni casi, sia inefficace concentrarsi su obiettivi caratterizzati da frasi che contengono il “non” (es. non devo fare errori, non devo compiere movimento, non devo essere così rigido). Solitamente così facendo otteniamo l’esatto contrario di quello che vogliamo.

Ricordo infine che la tecnica del goal setting è molto più efficace se vede la partecipazione dell’allenatore.  La condivisione degli obiettivi tra atleta e istruttore è di fondamentale importanza, in questa condizione di allenamento a distanza lo è ancora di più, visto che si tratta di un strumento concreto, un valido supporto relazionale in questo momento di isolamento forzato.  

Buon lavoro e se necessitate di un approfondimento più individualizzato contattatemi info@eleonoraceccarellipsicologa.it

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Riferimenti Bibliografici:

“MAMMA E BABBO VOGLIO FARE CALCIO” Quali sono i fattori che influiscono sulla scelta di uno sport e sulla motivazione?

L’attività sportiva  ha un’importanza fondamentale nello sviluppo fisico, psicologico e sociale di bambini e adolescenti.

Ma come si arriva alla scelta di un determinato sport? 

Prima Regola fondamentale: dobbiamo essere noi genitori, in primis,  ad essere preparati su questo argomento, conoscendo i fattori che possono influenzare la scelta.

Prima o poi accadrà che nostro figlio sia interessato  a  praticare uno  sport, presentandosi  con la fatidica affermazione “Mamma e babbo voglio fare calcio”Sicuramente qualcuno di voi si sarà domandato: Come ha sviluppato l’interesse per questa specifica disciplina?”

Può darsi che sia attratto dal tennis perché lo ha praticato in vacanza oppure perchè lo ha provato alla festa dello sport; oppure ancora perché lo fa l’amico del cuore o qualcuno in famiglia. Ciascuno di questi fattori avrà una sua influenza peculiare non solo rispetto alla scelta e quindi all’ avviamento di un determinato sport, ma anche rispetto al suo mantenimento.

Tutto ciò è riassumibile nel concetto di motivazione allo sport.

Quando si parla di motivazione, si fa riferimento alla spinta dell’individuo ad agire ed a mettere in atto comportamenti orientati a uno scopo. Affinché si inizi nella propria vita a praticare una qualsiasi attività, infatti, è necessaria una spinta, una causa, appunto una motivazione.

Nel caso in cui la scelta di un figlio sia dettata da un’esperienza diretta sul campo, l’avviamento allo sport sarà agevolato e sostenuto da un’ alta motivazione. Quest’ultima, se rimane tale, sarà fondamentale anche nel mantenimento di quella specifica disciplina nel tempo.

Quando invece la decisione è incoraggiata dall’ amico del cuore, il piccolo si avvicinerà con facilità allo sport e probabilmente nutrirà anche molto entusiasmo all’ inizioma non è detto che manterrà l’interesse per quella disciplina stabile nel tempo; il rischio di abbandono potrebbe essere dietro l’angolo.

Se invece la scelta è dettata dall’ esperienza di qualcuno in famiglia, nello specifico di uno dei due genitori, occorrerà fare attenzione e comprendere la reale motivazione sottostante: è il figlio che ha scelto perché si è appassionato ad uno sport tanto raccontato a casa oppure è il genitore che ha “indirizzato” questa decisione  probabilmente  per  un   riscatto   personale   per   traguardi   che   non   è   riuscito   a   raggiungere? In quest’ultimo caso, gli effetti negativi della scelta non si verificheranno solo a livello della pratica sportiva (scarso coinvolgimento, bassa motivazione, abbandono precoce) ma anche a livello psicologico, ad esempio sull’ autostima e sul senso di autoefficacia . Non dimentichiamoci che stiamo parlando di bambini e ragazzi, di soggetti in evoluzione. Lo sport, come già detto all’ inizio, serve loro non solo per un migliore sviluppo sul piano fisico ma anche a livello emotivo e relazionale. Soprattutto durante l’adolescenza, la loro personalità si modella sulla base della personalità degli adulti che li circondano;  voi genitori, dovete essere assolutamente consapevoli dell’ importanza del vostro ruolo: le vostre parole e i vostri comportamenti hanno (e avranno) un peso. Per un figlio, sapere che mamma e babbo nutrono e nutriranno fiducia in lui, che lo accettano e credono nelle sue potenzialità, lo aiutano ad accrescere la stima di sé e a essere più sicuro.

Sicuramente la situazione in cui un figlio sceglie di praticare uno sport in base alla propria personale esperienza, è la condizione migliore da un punto di vista motivazionale, ma senza un adeguato supporto da parte degli adulti significativi, dei genitori e dell’allenatore, non è detto che possa durare nel tempo.

È proprio il sostegno da parte degli adulti che può fare la differenza anche nei casi in cui la motivazione è bassa, o comunque labile.  

In che modo allora, come genitori, possiamo aiutare i nostri figli a maturare la passione e l’interesse per quello sport?

Per prima cosa dobbiamo essere empatici; Ciò vuol dire aiutarli a stare dentro gli impegni presi, accompagnarli nel loro percorso, stando attenti a ciò che ci chiedono soprattutto con il corpo, con il linguaggio non-verbale, perché con quello verbale a volte non sono in grado di esprimersi.

C’è chi ha bisogno di essere sostenuto, incoraggiato e chi ha bisogno di essere lasciato in pace, cioè di vivere un’esperienza, accompagnato sì, ma messo in grado di potersi confrontare da solo col mondo.

È un diritto dei minori sperimentarsi, nel bene e nel male, senza il controllo diretto dei genitori anche sapendo che un altro adulto vigila su di loro. Inoltre, fondamentale è la consapevolezza dei nostri schemi emotivi, che si traduce nel saper gestire emozioni e atteggiamenti, consci dell’importante ruolo educativo svolto.

Psicologo dello sport: chi è e cosa fa

Chi è lo psicologo dello sport?  Innanzitutto è un laureato in psicologia (5 anni di laurea, 3 anni di triennale + 2 di specialistica) che successivamente ha svolto un anno di tirocinio obbligatorio per sostenere l’esame di stato per essere iscritto all’albo degli psicologi. Successivamente ha partecipato ad un master specialistico in psicologia dello sport. Alcuni possono essere  anche psicoterapeuti (hanno cioè preso una specializzazione di 4 anni dopo l’esame di stato), ma non è obbligatorio essere psicoterapeuti, poichè sono due ambiti di lavoro diversi, che possono integrarsi oppure no.

All’interno del mondo dello sport, la figura dello Psicologo sta prendendo sempre più campo e diversi  sono i motivi di questo crescente coinvolgimento. In primo luogo, grazie ad una corretta informazione sulla figura dello psicologo che sta abbattendo numerosi pregiudizi (“A me non serve lo Psicologo dello Sport! Non ho mica problemi!” o “Sto benissimo. Non ho certo l’ansia! quindi a che mi serve? ”o ancora “Mica sono un professionista!”).

La psicologia dello sport è una disciplina relativamente giovane che si è conquistata uno spazio di autonomia all’interno della psicologia. Rientra nella classe della Psicologia Applicata, studia il comportamento umano e i processi psichici nell’ambito dello sviluppo psico-fisico e dell’attività sportiva.

Lo psicologo non è un nemico dello sport, semmai un valido alleato che mette a disposizione la sua specifica formazione per aiutare gli atleti a incrementare la performance individuale o di gruppo. A conferma di ciò, la cronaca degli ultimi decenni riporta sempre più spesso la testimonianza di atleti olimpionici che si sono avvalsi del sostegno di uno psicologo dello sport per migliorare la propria performance. Ad oggi, sono tante le ricerche scientifiche che dimostrano come le abilità mentali possono essere allenate e potenziate, incidendo positivamente sulla prestazione. Infatti, a fianco dell’intensa  attività di ricerca si è fatto spazio il lavoro sul campo, che ha permesso la nascita di diverse tecniche e metodologie in grado di potenziare e migliorare il livello di performance degli atleti e delle squadre di varie discipline. Ma la psicologia dello sport rappresenta una valida risorsa non solo per chi pratica una disciplina ad alti livelli ma anche per tutti coloro che praticano sport, amatori e nonche lavorano nel mondo sportivo (allenatori, dirigenti, tecnici, arbitri, medici, personal trainers, nutrizionisti, etc..) o che vivono il mondo dello sport, per esempio i genitori, possono usufruirne e trarne grandi vantaggi. Quest’ultimi, quando si parla del settore giovanile, rappresentano il target chiave nel lavoro con i più giovani, dal momento che l’obiettivo del lavoro con i bambini e i ragazzi non è tanto la performance quanto piuttosto un sano sviluppo.

Ma il lavoro dello psicologo dello sport spazia anche in altri settori:

  • Area della Terza età: per gli anziani, promuovendo ad esempio lo sviluppo di politiche di promozione dello sport;
  • Area della Riabilitazione (psicotraumatologia): per chi si trova alle prese con la ripresa da un infortunio. In questo settore, lo psicologo interviene sul trauma, sulle paure, sull’ansia da prestazione e sulla perdita di autostima che spesso rendono difficile il ritorno all’attività, ben oltre i tempi fisiologici della riabilitazione fisica.;
  • Area della Disabilità: per le persone con disabilità motorie e cognitive;
  • Area del Fitness: educare a stili di vita attiva e incoraggiare l’adesione a programmi per il fitness, sviluppando o rafforzando delle importanti modalità di cura di sè
  • Area del Wellness: per coloro che praticano attività motoria  al fine di ottenere e mantenere uno stato di benessere psicofisico;
  • Area della ricerca: per promuovere l’ideazione e l’applicazione di metodologie e tecniche sempre più appropriate, aggiornate e trasversali alle aree su menzionate.

Pertanto, seppur nella diversità degli ambiti di applicazione e di obiettivi, lo psicologo e la psicologia dello sport si rivolgono a tutti coloro che praticano attività fisica e/o sportiva direttamente e a tutti quelli che ne sono coinvolti indirettamente (allenatori, istruttori, genitori).

Ragione per cui, risulta importante che lo psicologo abbia un’opportuna. Nello scenario attuale, l’ attenzione agli aspetti psicologici della prestazione se da un lato ha fatto crescere il coinvolgimento e il riconoscimento della categoria professionale, dall’altro ha innescato il proliferarsi di nuove figure, di professionisti della mente  senza alcuna formazione e laurea psicologica. Da qui la necessità di un riconoscimento istituzionale della figura dello psicologo dello sport.

 

Urlare serve davvero?

Può capitare di perdere la calma e di alzare la voce con i più piccoli e questo può accadere a qualsiasi adulto, anche a chi è per natura paziente. Genitori, insegnanti, allenatori ed educatori sono  un modello per i più piccoli: rispondere alle richieste con rabbia e nervosismo non può che generare rabbia e nervosismo!

Perché si ricorre alle urla, quali sono le difficoltà che gli adulti lamentano più frequentemente?

“Se gli parlo fa finta di non sentirmi, cosa posso fare se non alzare la voce?”

Probabilmente è vero che nell’immediato bambini e bambine, ragazzi e ragazze,  si fermino ad ascoltarvi solo quando urlate, mossi dal fatto di fare qualcosa solo per accontentarvi e mettervi a tacere, senza però comprendere davvero la situazione o la gravità delle azioni per cui vengono rimproverati.

”Basta! Mi sta prendendo in giro, ora mi sente”

Gridare alimenta paura e timore, non rispetto. I più piccoli non devono vivere nel terrore. Mortificati dalle urla, i più piccoli non si concentrano sul contenuto del rimprovero ma apprendono solo ad avere timore e a rispondere opponendosi e attaccando. La paura dell’adulto genera un muro nella comunicazione che porta i bambine e le bambine, i ragazzi e le ragazze, a chiudersi in loro stessi.

Alzare la voce su un piano educativo e psicologico non ha alcuna utilità. Apparentemente l’unica utilità che può avere è per l’adulto, che in quel momento sente di avere uno strumento per farsi ascoltare da un bambino disubbidiente. Per poi  magari il momento dopo pentirsene: è assolutamente inutile fare la voce grossa per poi cedere alle richieste al fine di alleviare frustrazione e senso di colpa.

I più piccoli hanno bisogno di essere ascoltati  ma non devono temervi, perché faranno ancora più fatica ad aprirsi e parlare con voi.

Dal momento che gli adulti rappresentano un “esempio da seguire”, se volete che i più piccoli vi ascoltino,  dovete essere voi i primi a essere capaci di farlo. La comunicazione è fondamentale: occorre sempre spiegare le proprie ragioni, ascoltando anche il punto di vista dei bambini e le bambine, dei ragazzi e le ragazze, facendo capire loro le motivazioni di un no, di una richiesta o di una regola. Non si tratta di una lotta di potere, né un braccio di ferro per dimostrare chi è più forte.

Può succedere di perdere la calma e alzare la voce, ma urlare deve restare un provvedimento eccezionale. Pur dovendo fornire regole e limiti, siate comprensivi, spiegategli i motivi di un eventuale sgridata e aiutateli a comprendere quanto sta accadendo; così facendo, potranno comprendere le regole, assimilarle e quindi rispettarle. Inoltre, fate attenzione anche al fatto che soprattutto i più piccoli, vivono le emozioni in modo assoluto. Quando gli adulti sono arrabbiati, i bambini e le bambine pensano davvero che non li amate più. Ricordatevi di  far riferimento al comportamento e non all’ intera persona (“Mi hai fatto arrabbiare per il tuo comportamento”), ovvero commentare l’atteggiamento da correggere ma mai attaccare la sua integrità altrimenti si sentirà rifiutato e inadeguato, si metterà sulla difensiva o adotterà ancora di più comportamenti oppositivi e provocatori. . Per farvela breve, l’urlo deve essere seguito da un sorriso e dalla volontà di riconciliarsi

La definizione degli obiettivi e le sue potenzialità in ambito sportivo

 

Settembre per me è sempre stato il mese dei buoni propositi; l’ estate è al tramonto, le ferie sembrano già un ricordo lontano: avere dei progetti in mente per i freddi mesi a venire è doveroso, anzi fondamentale!

Anche nel mondo sportivo settembre è il mese della “partenza”, periodo in cui si definisce il programma della nuova stagione. Non fa una piega! E allora perché qualche volta accade che pur avendo in mente l’obiettivo o la meta che vorremmo raggiungere, non riusciamo nei nostri intenti? Probabilmente non è così facile come sembra.

La psicologia della sport offre un valido aiuto, proponendo una strategia molto efficace: la tecnica del goal setting o formulazione degli obiettivi.

Io uso moltissimo questo strumento con i miei atleti, soprattutto all’inizio della stagione sportiva.

L’ applicazione della tecnica è facile di per sé e se vogliamo anche veloce (non più di un’ora) tuttavia è necessario un lavoro profondo, di grande consapevolezza da parte dell’atleta che in alcuni casi può necessitare di un sostegno  più prolungato da parte dello psicologo per raggiungere quanto stabilito.

Si tratta di una strategia che può essere usata individualmente o in gruppo e preferibilmente con la partecipazione dell’allenatore.  La condivisione degli obiettivi tra l’atleta e tutte le figure significative che lo circondano è di fondamentale importanza poiché spesso accade che la mancata corrispondenza tra gli obiettivi individuati dall’atleta e quelli dell’ allenatore (talvolta anche tra quelli della società) può inficiare l’esito della prestazione.

Anche se l’esperienza di goal setting di ogni sportivo è soggettiva, è possibile dare una definizione generale delle caratteristiche di questa tecnica. Andiamo a vedere di cosa si tratta.

Intanto, Che cos’è un obiettivo? Possiamo definire un obiettivo “ uno scopo, una meta,un  risultato che ci si propone di ottenere (www.garzantilinguistica.it). Solitamente ciò avviene attraverso il ricorso a strategie e individuando un intervallo temporale entro cui vorremmo che l’obiettivo si realizzi.  Il fattore tempo è importantissimo, ragione per cui occorre individuare e definire obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Gli OBIETTIVI A BREVE TERMINE sono quelli che ci prefiggiamo di raggiungere nel giro di pochi mesi, in un tempo molto breve quindi. Sono gli obiettivi su cui focalizziamo la nostra attività all’inizio dell’anno sportivo, permettendoci così una prima valutazione della nostra performance. Si tratta di obiettivi che definiremo di “prestazione o performance” vale a dire quelli che si focalizzano sull’ acquisizione o sul perfezionamento di un gesto atletico o di una certa abilità mentale.

GLI OBIETTIVI A MEDIO TERMINE, si riferiscono ai risultati che vorremmo ottenere all’ incirca a metà della stagione sportiva (entro 6 mesi). Questi obiettivi mettono a fuoco la direzione verso cui stiamo andando, facendo emergere ciò che serve per andare avanti.

GLI OBIETTIVI A LUNGO TERMINE sono quelli che vorremmo raggiungere attraverso l’intera annata sportiva, offrendoci così una pianificazione generale di quello che sarà il nostro percorso sportivo. Gli obiettivi a lungo termine stimolano in maniera attiva l’atleta, soprattutto se protagonisti sono i più giovani, maggiormente esposti a un’organizzazione serrata dei ritmi di studio (o lavoro) con gli impegni sportivi.

Oltre al fattore tempo, affinché la tecnica del goal setting sia efficace è fondamentale che gli obiettivi:

  • vengano formulati in maniera chiara e precisa e che siano raggiungibili per l’atleta.

Al contrario, obiettivi ambiziosi o mete troppo vaghe possono esporre l’atleta (e il suo staff) a insuccessi e frustrazioni.

  • Siano misurabili: ciò permette di analizzare nei dettagli il risultato ottenuto e di assegnargli un

punteggio (ad esempio su una scala da zero a dieci) al fine di comprendere cosa ha funzionato e cosa, invece, sarà necessario andare a migliorare.

  • Siano espressi in positivo: le ricerche hanno evidenziato che, in alcuni casi, sia inefficace concentrarsi su obiettivi caratterizzati da frasi che contengono il “non” (es. non devo fare errori, non devo compiere movimento, non devo essere così rigido). Solitamente così facendo otteniamo l’esatto contrario di quello che vogliamo.
  • Siano flessibili; infatti, potrebbe capitare che un atleta si accorga di non essere in grado di raggiungere l’obiettivo prestabilito ad esempio per l’insorgere di un infortunio. Per non vanificare gli impegni di un’ intera stagione sportiva, la strategia migliore sarà quella di ridefinire gli obiettivi prefissati per poter essere sempre motivati a dare il massimo per il loro conseguimento.

Tutte queste regole oltre a promuovere il raggiungimento degli obiettivi prefissati permettono di tenere alta la motivazione.

E allora se è vero che “CHI BEN COMINCIA È GIÀ A METÀ DELL’OPERA” che cosa aspettate? Sotto con il goal setting! 

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